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Archive for the ‘Cinema’ Category

Papà in viaggio d’affari

December 4th, 2010 1 comment

E’ un film che ho visto molto tempo fa, di cui ricordavo le tematiche e alcune scene topiche, ma che ormai avevo quasi dimenticato. Qualche giorno fa l’ho rivisto apprezzando di nuovo il vecchio stile di Kusturica. Il film è ambientato all’epoca della rottura tra Tito e Stalin, tra il 1949 e 1951, un periodo in cui la neonata federazione socialista si forgia nel terrore e nella paranoia, presupposti che sembrano accompagnare la nascista di ogni stato. Chiunque fosse sospettato di stalinismo finiva nei campi di prigionia o di rieducazione, e se ti andava bene venivi emarginato, declassato, privato dei diritti. Contesti storici in cui i piccoli rancori e invidie contribuiscono ad alimentare il meccanismo con la delazione che usa come pretesto l’eresia politica per i spesso banali scopi personali.

E’ così che un funzionario di partito (interpretato da Miki Manojlovic), l’inguaribile donnaiolo ma tutto sommato fedele alla linea “titoista”, finisce nei guai per una battuta fatta sovvrapensiero. L’amante che lo accompagna nel viaggio  di ritorno da una delle numerose trasferte in giro per la Bosnia, sposata con il suo cognato, un collaboratore dell’OZNA (il servizio segreto jugoslavo*) – un po’ per ingenuità, un po’ per gelosia dato che non si decide di lasciare la moglie per lei – racconta la battuta al proprio marito. Il peccato mortale di Meho, il protagonista, mentre legge Politika, il principale quotidiano della ex-Jugoslavia, è quello di aver detto “forse hanno esagerato un po'” di fronte alla vignetta in cui è rappresentato Karl Marx seduto nel proprio studio con il ritratto di Stalin dietro. Apriti cielo: due anni di lavori forzati in una miniera sperduta, divieto di qualsiasi contatto con gli amici e familiari. E’ così che inizia il “viaggio d’affari” di Meho. Una formula con cui si faceva capire che qualcuno è finito nel tritacarne di OZNA dato che era pericoloso fare qualsiasi cenno alla purga, figuriamoci esprimere un qualche giudizio.” OZNA sve dozna” (OZNA viene a sapere tutto) era un altro detto popolare di quegli anni. La moglie di Meho, malgrado intuisca la verità sui suoi tradimenti, non abbandona il marito ne perde la speranza; toglie la parola al fratello delatore e fa di tutto per cercare di instaurare un contatto.

Questa la trama del film, ma la cosa interessante è la voce narrante, quella del figlio di Meho, un bimbo di sei anni che attraverso uno sguardo innocente racconta gli eventi spesso tragici che sconquassano la vita di una famiglia in un epoca dura, post-bellica ma non priva di un certo ottimismo. La convinzione di essere dalla parte giusta, la vittoria sul nazi-fascismo, il progresso che nel bene e nel marte porta dei profondi mutamenti, ma anche le disillusioni con la nascita delle nuove classi privilegiate. Tuttavia quello che distingue questi primi film di Kusturica, basati spesso sui racconti del famoso scrittore bosniaco Abdulah Sidran, sono i personaggi secondari, le situazioni di un realismo struggente che aprono finestre sulle vite degli ultimi, dei perdenti e degli emarginati in un mondo di granitiche certezze.

Molte sono le scene che mi sono rimaste impresse: la battuta tagliente che la moglie di Meho fa al fratello responsabile di aver mandato ai lavori forzati il proprio marito, dicendogli che gli “ustascia” – i membri del NDH, il partito collaborazionista croato – almeno le lasciavano mandare qualche vivere nel carcere quando il marito fu arrestato durante la guerra, mentre loro no. Poi la storia d’amore infantile tra i due bambini, il figlio di Meho e la bambina prodigio del vecchio medico russo, a sua volta rifugiato politico, scappato dallo stalinismo per ritrovarselo di nuovo con altri nomi. Poi la scena del tentativo goffo di fare l’amore nella barracca del campo di prigionia dopo aver finalmente ottenuto il permesso per una visita, interrotto dalla presenza del figlio. Infine lo sguardo sulla condizione femminile che si ripete più volte durante il film: i tradimenti e il persistente maschilismo, i diversi gradi di emancipazione, zone grigie tra il tradizionalismo e la modernizzazione.

* Oltre ai molti crimini commessi dall’OZNA va riconosciuta però anche la cattura dei numerosi collaborazionisti, filo-nazisti e responsabili delle stragi ai danni delle popolazioni civili durante la Seconda guerra mondiale. Tra questi il più famoso era il generale Draza Mihajlovic, il capo del movimento monarchico e fascistoide serbo “cetnici”.

Rockovnik

October 26th, 2010 Comments off

Poslje Robne Kuce, koju sam vec pominjao na Balkan Rock-u, emisija u nekoliko epizoda koja je govorila o jugoslovenskom “novom talasu”, dosao je red na malo duzi skok u proslost, tragajuci za korijenima rock’n’rolla u bivsoj Yugi. Dakle radi se o jos jednoj emisiji RTS-a, ciji je reziser Dusan Vesic, sa intervjuima poznatih muzicara, producenata, novinara i likova koji su svijedoci tih davnih desavanja, pocevsi od sredine pedesetih godina proslog vijeka. Mozete skinuti epizode preko sajta jednog od najvrijednijih blogera iz Srbije – sa egzotericnim nazivom Abraxas365. Za sad sam pogledao samo par epizoda, i stvar je jako simpaticna i interesantna, te mozda i poucna za mladje generacije koje su rasle pod sijenkom bratoubilackog revizijonizma, ne zato sto emisija skrece paznju na te tematike, vec jednostavno zbog samog saznanja da je postojao neki zajednicki kulturni bunt tokom decenija koji i dan danas prezivljava kroz razne muzicke scene novokomponovanih nacija. Dok sam manje vise potkovan sto se tice rock-a od sedamdesetih na ovamo, falilo mi je dosta imena, mijesta i desavanja iz tog drevnijeg vremena kada je to jos bila “djavolja muzika”. Neki od protagonista govore o tome kako je rezim reagovao na nove mladalacke mode, u najbolju ruku sa sumjom u najgoru represivno, kao da se radilo o ekskluzivnom primitivizmu real-socijalistickih zemalja, zaboravljajuci sta je sve uradijo “makartizam” tih istih pedesetih godina u Sjedinjenim Drzavama. Doduse to je detalj relativne vaznosti, medju mnogim drugim anegdotama koje popracuju seriju. Daunloudujte to i uzivajte. Preporuceno mladjima, ne samo zbog edukacije, vec jer bi starije ovo moglo i ganuti 😉

Articolo su Loop

October 17th, 2010 Comments off

Segnalo l’articolo uscito sulla rivista Loop, la migliore se non l’unica rivista di movimento in circolazione ultimamente. A cura di uno dei due autori del documentario “La resistenza nascosta“, tratta più o meno gli stessi argomenti legati all ascena underground bosniaca e al ruolo politico e controculturale che ha avuto dalla fine della guerra in poi.

Articolo Loop

(clicca sull’immagine per ingrandire l’articolo oppure scarica l’intero numero di Loop)

Video cartoline dai Balcani

August 30th, 2010 Comments off

Pubblico volentieri le tre video-cartoline realizzate durante un viaggio in Albania, Macedonia e Montenegro da un amico cinefilo e videomaker sotto il nome di Atelier Produzioni. Repertorio di immagini tipicamente “on the road”, molto autentiche  e con un attenzione particolare alle tracce del passato e alla realtà contemporanea in fase di (de)costruzione.

http://www.youtube.com/watch?v=ctoIjZjMGX8

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Granica (1991)

July 30th, 2010 Comments off
Granica” (Il confine) è un film di produzione jugoslava del 1991, girato proprio nell’anno in cui iniziò la guerra. Ambientato in un villaggio al confine tra la nascente federazione jugoslava e l’Ungheria tra 1945 e 1948, racconta la storia di due famiglie, una di ungheresi autoctoni, contadini più o meno benestanti alle prese con la riforma agraria dell’epoca e i conseguenti espropri; l’altra di profughi bosniaci, reduci di guerra, ai quali viene assegnata una delle case confiscate agli austriaci o tedeschi residenti in Vojvodina dai tempi dell’Impero austro-ungarico.
Storie dolorose e dimenticate che hanno luogo in quel limbo che è il dopo-guerra, qualunque esso sia. Descrive le differenze culturali tra persone provenienti da ambienti rurali completamente diversi: quello silvo-pastorale e di susistenza nelle zone più remote della Bosnia e quello dei grandi poderi agricoli nella fertile pianura Panonica, dove fin dai tempi dei conquistatori ungari si è conservata la tradizione dell’allevamento dei cavalli di razza. I comissari del partito cinici e violenti, i giovani spaesati in questo improvviso salto nella modernità, i bambini vittime degli ordigni rimasti inesplosi, i contadini disposti a farsi torturare pur di non consegnare alle autorità il grano, i maiali, i cavalli che per legge se ne potevano possedere solo due per famiglia.
Il film inizia con lo stupro della giovane Etel, figlia di un agricoltore ungherese, per mano di un gruppo di soldati russi e si evolve con una serie di sventure che colpiscono le due famiglie stritolate dalla storia. Malgrado l’iniziale mal sopportazione tra i due padri di famiglia, la malasorte li unisce, contemplando alla fine persino un matrimonio tra i propri figli. A questo proposito il monologo di Shandor, il baffuto e grasso contadino ungherese con il debole per la grappa, è molto significativo. Dopo la morte della moglie è disposto a mandare al diavolo le tradizioni, i matromini combinati tra ungheresi, i cavalli e persino “Attilla il flagello di dio” e dare la mano della propria figlia ad uno “straniero” bosniaco. Quello che sembra simboleggiare l’inizio del multiculturalismo jugoslavo. I
l film racconta storie molto interessanti e spesso con il piglio azzeccato, a parte per forse un’eccessiva demonizziazione dei “comunisti”, tuttavia comprensibile in un clima di generale avversione e rottura con il passato in tutti paesi ormai ex-socialisti, quando il film fu girato. C’è qualche caduta di ritmo e le differenze troppo marcate nella capacità di interpretare tra i vari attori,  alcuni delle affermate star del cinema jugoslavo come Laza Ristovski, altri degli esordienti o addirittura dei non-attori, creando così una sensazione di vuoto nella recitazione in alcune parti del film. Ad ogni modo una visione interessante di un film non molto conosciuto.

Elektricni Orgazam

March 17th, 2010 7 comments

Recentemente la RTS (radio televisione serbia) ha trasmesso un documentario a più puntate sulla “new wave” jugoslava, all’interno di un programma che si chiama “Robna Kuca”. E’ tempo di retrospettive anche da quelle parti. Il cosiddetto “novi talas” in effetti ha avuto  un significato enorme nella ex Jugoslavia, forse più che altrove dove si erano già sperimentate le controculture a partire dalla fine degli anni sessanta. Il fatto che la scomparsa del “grande capo” nel 1980, coincide con le prime uscite per le case discografiche di stato come Jugoton dei dischi più significativi dell’epoca, esercita un effetto “shock” sull’immaginario comune. E’ un’ottima cosa che la principale emittente del paese trasmette dei documentari del genere. Dopo averlo visto mi sono riascoltato il secondo album degli Elektricni Orgazam, “Lisce prekriva Lisabon” (1982) (Le foglie ricoprono Lisbona, ndr.)

Ecco un brano:

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Documentario sugli Azra

March 9th, 2010 Comments off
Non saprei quanto avrà senso questo post. Me ne rendo conto che è uno dei peggiori modi di esordire in un articolo e suscita le domande spontanee del tipo “allora che diavolo vuoi da me”, ma facciamo che è rivolto a quella nicchia della nicchia, dei yugos trenta-quarantenni residenti in Italia, che in un periodo della loro vita hanno amato gli Azra.

Quella band di cui parlavo qualche post fa, creatura di Branimir Stulic, singolare menestrello di una Zagabria tardo-socialista, che ha saputo raccontare quel decennio meglio di chiunque altro. Lo faceva in modo poetico, ma senza eruditismi, utilizzando come protagonisti le persone reali che popolano le sue canzoni e che ora si scopre dal documentario “Kad Miki kaze da se boji“, hanno un volto e una storia. Dai professori della Facoltà di Filosofia, agli ubriaconi delle peggiori osterie zagabresi, dagli anarchici e dissidenti politici ai hippy, drogati e perdi giorno appartenenti ad una specie ormai quasi estinta. E poi le donne, quante donne, tante da non avere dubbi sull’ascendente particolare che Stulic esercitava su di loro, con quel suo fascino severo e ascetico.

Proprio quello che oggi apprezzo, da ragazzino detestavo, quel modo di esprimersi e di cantare un po’ “popolare”, un po’ folk, dal melos orientaleggiante. Non capivo gli amici che perdevano la testa per gli Azra, credevo fosse rock da contadini e paesani, preso com’ero da un’esterofilia che in quel momento non era altro che la reazione verso il crescente nazionalismo. Tutto quello che percepivo come “tradizionale” era il “nemico”. Ma naturalmente la musica di Stulic non aveva nulla a che fare con tutto questo, anzi era l’esatto contrario, una miscela sana e genuina di new wave, folk, pop e canzone d’autore.

Chiusa la parentesi personale, torno a parlare del documentario in questione, uscito nel 2005 e intitolato come l’omonima canzone “Kad Miki kaze da se boji” (Quando Miki dice di aver paura). Si ha l’impressione che questo film sia nato come un’iniziativa degli amici di Stulic stesso. Ha un taglio un po’ intimista e sembra fatto apposta per i fan degli Azra che possono trovare le risposte per molti passaggi enigmatici delle loro canzoni. Ma non mancano delle parentesi sul ’68 jugoslavo, sulle controculture e sulle varie correnti dei dissidenti politici. I protagonisti sono dei personaggi di mezza età, alcuni perfettamente “integrati” altri dei “loser” totali. Raccontano dei luoghi di ritrovo, tra questi spiccano “Veliki Kavkaz” e “Mali Kavkaz” (Grande e Piccolo Caucaso ndr.), il primo in stile mittel europeo, era il ritrovo degli intellettuali della borghesia rossa jugoslava, giornalisti, personaggi dello spettacolo, bohemien; mentre il “Piccolo Caucaso” raccoglieva i “non integrati”. Il film a volte si perde in chiacchiere, ma tant’è…a me ha fatto piacere vederlo. Si può scaricare dal blog di Abraxas365 dove potete trovare un mucchio di altra roba interessante.

La Resistenza Nascosta

November 22nd, 2009 Comments off

Sarajevo, i ricordi di cristallo,
Sarajevo, di fango e di neve,
toglimi la brina dagli occhi e dalla fronte,
esci da me, esci da me.

Lascia gli occhi di vedere ancora questa volta,
lascia le orecchie di sentire ancora questa volta,
Sarajevo…

(EKV – Sarajevo – S vetrom uz lice 1986)

Così cantavano EKV (Ekatarina Velika) nel lontano 1986, sicuramente più lontano per Sarajevo di qualunque altro posto nei Balcani. Per chi ci è stato in quella città negli anni ottanta riconoscerà gli odori e le immagini che evocano queste poche semplici righe. L’odore del carbone nell’aria, il rumore dei tram, il colore verde torbido di Miljacka, il fiume che attraversa la città. La neve tinta di fango in contrasto con quella bianco candido del monte Jahorina che troneggia sopra Sarajevo. Da un lato le moschee e il quartiere antico Bascarsija, dall’altro la laboriosa città socialista, piccola metropoli jugoslava  –  paese e città allo stesso tempo. Nel 1984 si apre al mondo con le Olimpiadi, gli stessi anni della straordinaria produzione musicale che esporta la musica per il mercato interno al terzo posto nell’ordine di importanza per l’economia bosniaca. I primi due non è ho idea da cos’erano occupati, minerali, legname, armi? Non importa. E poi “new primitives“, un po’ dadaisti, un po’ menestrelli della Sarajevio dei “loser”, sicuramente profetici con lo show tv “Top lista Nadrealista”.  Dark e New Wave che echeggiano nella discoteca Jedinstvo (Unità). Pacchiani fino al midollo i rockettari del cosiddetto “pastir rock“, ironicamente definito dalla critica il “rock dei pastori”: tematiche e melos folcheggianti con la musica heavy metal. Senza contare le pop star Plavi Orkestar, Crvena Jabuka e stracitati Bijelo Dugme, che riempivano le riviste musicali dell’epoca. Finito tutto ciò arriva la generazione X, creativa, innovativa, ma con la sfiga di assistere alla disintegrazione della cultura che la guerra porta con sé. I  più arditi non mollano e sotto assedio continuano ad organizzare eventi, concerti, senza arrendersi. Nelle cantine, sotto le bombe continuano a trasmettere un messaggio di non adesione al delirio nazional-guerrafondaio. E’ di questa generazione che parla il documentario “La resistenza nascosta” di Francesca Rolandi e Andrea Paco Mariani uscito qualche mese fa in modo indipendente sotto il nome di Smashing Mrkve e con il supporto di One World SEE e Comune di Vogosce.  I protagonisti di questa scena non si concentrano tanto sulla guerra, quanto su quello che viene dopo, il periodo di decontaminazione culturale, di resistenza contro il turbo-folk, la corruzione politica, contro i tentativi di creare una Sarajevo Saudita. I nomi sono tanti: Dubioza Kolektiv, Letu Stuke, Skroz, Damir Imamovic Trio, Basheskia,  Laka e molti altri. Vale la pena di scoprirli e di vedere questo documentario, fatto con uno sguardo dal basso, con interviste fatte sul divano di casa, nel parco condividendo una latina di birra, camminando per strada in mezzo al traffico, nei baretti di ritrovo dei musicisti. Un incontro tra coetanei dalla visione del mondo affine che raccontano quella parte dell’Europa sotto una prospettiva che con un po’ di buona volontà si poteva intuire, ma che è rimasta nascosta per anni dalla cortina del protettorato ONU e dello stato d’eccezione permanente di un paese “cantonizzato”. Per averlo credo si possano contattare gli autori dalla loro pagina MySpace, disponibili anche per le presentazioni (…)

Tito per la seconda volta tra i serbi

July 4th, 2009 Comments off

Autunno 1994. Una delle piazze centrali di Belgrado. Arriva una vecchia mercedes nera. La città è tetra, non tanto per la sua architettura a metà strada tra lo stile mittel europeo e quello real-socialista, ma per il clima che si respira: siamo a metà degli anni novanta e la guerra non è ancora finita, l’embargo ha fermato tutto tranne il contrabbando, i profughi arrivano dalle Krajine e dalla Bosnia mentre imperversa un diffuso senso di angoscia e isolamento. Dopo un attimo di esitazione si apre la portiera posteriore della mercedes e lui scende in divisa da maresciallo, quella delle grandi occasioni, cappotto sulle spalle, occhiali scuri, medaglie e riconoscenze sulla giacca. Si proprio lui, il compagno Tito è tornato dall’aldilà. Ne ha sentite di tutti i colori là sù e ha deciso di accertarsi di persona, di capire che cosa sia andato storto e dove ha sbagliato se l’Unità e Fratellanza sono andate a farsi benedire dopo appena dieci anni dalla sua scomparsa. Dopo essersi congedato dal suo autista grasso e dall’aria tonta, Tito si avventura tra le vie di Belgrado per incontrare i suoi fratelli serbi e cercare le risposte.
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Jugoslavia: la memoria al cinema

March 1st, 2009 2 comments

Cinema JugoslavoArticolo interessante sul cinema jugoslavo trovato su osservatoriobalcani.org

Il cinema, come strumento fondamentale per mantenere viva la memoria della Lotta di Liberazione da cui era sorta la Nuova Jugoslavia. Dietro all’apparente staticità delle immagini del ”partizanski film” emergono elementi molto utili a comprendere le vicende di un paese che non c’è più
di Marco Abram*

Nella Jugoslavia socialista il quadro della memoria ufficiale rimase statico e nitido per molto tempo, conoscendo le prime incrinature neglianni ’60 ma andando realmente in crisi solo nel decennio che precedette la disgregazione dello stato. Per mantenere salda quest’immagine Tito ebbe a disposizione uno strumento che, fino a quel momento, in Jugoslavia non aveva conosciuto un particolare sviluppo: il cinema.

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