C’era una volta

May 13th, 2013 Comments off

Živi životDopo la mostra “Jugoslavia, dall’inizio alla fine“, tenutasi al MIJ (Muzej Istorije Jugoslavije) all’inizio dell’anno, si terrà un’altra manifestazione a Belgrado per ricordare il paese scomparso. Se la prima era più di carattere storico, pur addentrandosi negli aspetti socio-culturali, economici o politici meno conosciuti, la seconda è decisamente dedicata alla cultura pop e all’antropologia urbana, con una serie di rituali, usanze, stili, gusti e percezioni, di cui molti sopravvivono ancora al di là dell’adesione o meno a quella cosa vaga e un po’ confusa chiamata “jugonostalgija”. La mostra è intitolata “Živeo život – la mostra sulla bella vita“, dal detto “živi život svoj” (vive la vita sua) per indicare qualcuno che vive in santa pace nel modesto decoro, non arreca disturbo ad alcuno e si ritiene soddisfatto di ciò che ha”, riferendosi allo jugoslavo medio, o almeno a quello che oggi percepiamo come tale, esponente delle nuove classi medie, uscite negli anni ’70 dal pauperismo del dopo guerra, avvicinandosi agli standard del benessere europeo. Questo oggi è oggetto di una forte mitologia, condivisa non solo tra i pensionati ex iscritti al partito unico.

Questo “jugoslavo medio” è diventato molte cose successivamente, si è scisso in diversi rami evolutivi, ma soprattutto involutivi. Alcuni si sono vampirizzati abbracciando il fucile in una mano e la croce nell’altra abbandonando le modeste aspirazioni per lasciarsi agli appetiti insaziabili sputando rancorosi nel piatto dal quale mangiavano fino al giorno prima. Altri sono tornati al punto di partenza – nelle baracche, a fare dei lavori che non si sognavano nemmeno, con la dignità lesa, e il rancore ancora una volta, indirizzato quasi sempre al destinatario sbagliato. Poi ci sono mille sfumature di questa metamorfosi, ma è un’altra storia. Quello di cui si occupa la mostra in questione sono aspetti positivi, innocui o se non altro curiosi e talvolta strambi nella ex-YU, quelli di cui ho scritto molte volte su questo blog. Una parte della mostra che mi pare particolarmente interessante è quella dedicata ai sensi, all’odore in particolare. Tutti noi memorizziamo gli odori dell’infanzia. Quelli buoni della casa della nonna o quelli cattivi del dentista o dei bagni della scuola. Quali erano gli odori che caratterizzavano le case di quell’epoca? Uno, che io ricordo molto bene, viene citato nella presentazione della mostra:

“nell’ambito della mostra, una delle aree tematiche sarà dedicata agli odori, ai sapori, al tatto e ai suoni. Uno degli odori più comuni era quello del latte bruciato. Quando il latte ha iniziato a trasbordare dai pentolini sulle nuove cucine elettriche, il nemico numero uno delle casalinghe jugoslave diventò quella puzza di latte bruciato. Si diffondeva, incontenibile, in tutto l’appartamento, mettendo in discussione la titanica lotta per rendere la casa sempre profumata, con l’ausilio del “radion blu” (*un famoso detersivo). “Attento al latte!”, era diventato il grido mattutino più comune nelle case delle famiglie jugoslave medie. Il latte andava sorvegliato attentamente mentre stava per bollire, ma anche in quel caso talvolta si bruciava uscendo dal pentolino.”

Ai tempi non era ancora diffusissimo il latte pastorizzato in tetrapack, figuriamoci quello scremato, parzialmente scremato e così via. In pratica era il latte crudo come quello che oggi si vende nei distributori automatici delle aziende agricole. Si vendeva nei sacchetti di plastica da un litro e andava portato ad ebollizione prima di essere consumato. Naturalmente raggiunti i 100°C il latte iniziava schiumare, aumentando di volume e uscendo dalla pentola, appiccicandosi sulla piastra elettrica. Costava decisamente meno di quello pronto all’uso in tetrapack .
La mostra verrà inaugurata il 4 giugno al vecchio centro commerciale “Beograd” in Knez Mihajlova a Belgrado.
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Ex-Yu Elettronica autoprodotta negli anni ’80

January 30th, 2013 Comments off

ex-yu-electro-vol1Various – Ex Yu Electronica Vol I: Hometaping In Self-Management è una curiosa compilation che testimonia l’esistenza di numerose autoproduzioni durante gli anni ’80 nell’ambito dell’elettronica meno convenzionale. All’ombra dei grandi nomi come Laibach e Borghesia, troviamo decine di micro progetti, spesso individuali, che stilisticamente si aggirano tra industrial, no-wave, ambient, minimal e rumorismo puro. Oscuri pioneiri della sperimentazione sonora, riportati alla luce dalla slovena Monofonika, nata a quanto ho capito, proprio con l’idea di recuperare i pezzi della scena underground jugoslava cauduti nel dimenticatoio. Il vinile si può ordinare tramite Discogs o direttamente da loro anche se la tiratura limitatissima è di sole 300 copie. Seguono altri due volumi, intitolati rispettivamente “Ex-Yu Electronica Vol II: Industrijski elektro obvodi na severu” e “Ex-Yu Electronica Vol III: Diktatura, Humor Agresija”.

Hometaping in Self-Management Vol 1

New Wave nella ex Jugoslavia: tra Belgrado e Novi Sad

January 29th, 2013 Comments off

Parte 1 Parte 2

laboratorija zvukaDopo una lunga pausa arriviamo alla terza puntata dedicata alla new wave jugoslava, ovvero al cosiddetto novi talas il termine adottato dalla critica solo successivamente per indicare un fenomeno non solo musicale. Abbiamo visto che il contesto in cui nasce contiene alcune particolarità legate alla realtà socio-politica di un paese ufficialmente ancora saldamente socialista, che però inizia a dare i primi segni di crisi. Una crisi che forse in quel momento può essere ancora interpretata in modo positivo se ci concentriamo solo sulla produzione culturale di un certo tipo e lasciamo da parte le forze in gioco che avrebbero determinato la distruzione del paese e l’imposizione di una nuova cultura di massa reazionaria e volgare. Quel nazional-liberismo di stampo criminale che potrebbe rappresentare un pericoloso precedente alla luce dell’attuale crisi non solo nei paesi che hanno attraversato la transizione.

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La battaglia di Neretva di Pablo Picasso

January 9th, 2013 Comments off

Il poster per il colossal bellico “La battaglia di Neretva” del 1969, diretto da Veljko Bulajic, fu disegnata da Pablo Picasso gratuitamente, soltanto in cambio di una cassa del miglior vino jugoslavo.

Battle of Neretva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Adijo Tusta

October 29th, 2012 Comments off

La scomparsa di Branko Črnac – Tusta, la voce dei Kud Idijoti, è stato un colpo duro per tutti i rockettari da Triglav* a Vardar**. Il cantante del gruppo punk istriano, il più popolare delle sei repubbliche ex jugoslave. Centinaia sono i commenti comparsi sotto ogni notizia che ne parlava. Avevano un che di particolare, di popular, che li faceva sentire vicini al pubblico. Tusta soprattutto, sapeva farti capire che è uno di noi. Antifascista dichiarato, attivista sindacale nell’azienda metal-meccanica dove lavorava, nipote dei poveri carbonai istriani. Con quella sua aria da indiano, corpulento, con gli occhi leggermente a mandorla e i capelli lunghi, sembrava Toro Seduto. Il saggio vox populi che non ne diceva mai una di troppo, dicono. Quando allargava le braccia sembrava abbracciasse il pubblico intero. Gli ultimi saluti e le parole d’affetto arrivano allo stesso modo da Pola, Zagabria, Belgrado, Novi Sad, fino all’ultimo buco del culo dell’ultimo mini-stato post-jugoslavo dove i Kud Idijoti e la voce di Tusta hanno cambiato la vita a qualcuno, facendolo sentire meno solo, “je bija  fašizam je“.***

Ascolto la sua voce da quando avevo 13 anni. Mi duplicò le cassette dei Kud Idijoti una mia cugina di Sarajevo. Nella cittadina turistica sulla costa montenegrina in cui vivevo non si poteva trovare niente del genere. Le cassette si duplicavano decine di volte fino ad arrivare alla qualità del suono simile ad una stazione radio ad onde corte. Quando sentì “Necu da radim za dolare” rimasi folgorato. Era il 1990. Dopo, negli anni novanta, mi facevo spedire le loro cassette dagli amici in Italia. La voce di Tusta aveva qualcosa di amichevole. Raccontava delle storie che ti davano l’impressione di averle sentite di persona in qualche osteria istriana dove si raduna la gente un po’ strana – ubriaconi, anarcoidi, frichettoni e poeti falliti. Trasmettevano lo spirito di Pola in qualche modo. Pola negli anni novanta era diversa dal resto della Croazia. Se mai dovessi andarci  avrò l’impressione di non essere lì per la prima volta. Grazie a Tusta. Grazie ai Kud Idijoti.

*Triglav, la montagna più alta della Slovenia, **Vardar, il fiume macedone, in una canzone popolare il punto più settentrionale e il punto più meridionale della ex Jugoslavia.

***Da “Božina” cioè la canzone di Božo dei Kud Idijoti, sul racconto di un anziano di Pola che ricorda i tempi del fascismo e dell’occupazione facendo dei parallelismi con la Croazia degli anni Novanta.

Via Milan Mladenović a Zagabria

October 26th, 2012 Comments off

Da oggi a Zagabria ci sarà una via intitolata a Milan Mladenović il cantate degli EKV. Nessuno ha potuto porre il veto su un’iniziativa del genere malgrado i tentativi per farlo. Il fatto è significativo e non a caso ha avuto un certo rilievo sui media. Intitolare una via ad un cantante belgradese non è da tutti giorni là dove le politiche culturali per anni si sono impegnate a separare, distinguere, rimuovere, riscrivere. Per di più il cantate di un gruppo eretto a simbolo dalla generazione che condivideva un senso comune liberal e anti-conformista nel contesto jugoslavo, insofferente verso le derive identitarie che contaminavano ogni ambito della produzione culturale. Mladenovic era uno degli artisti che si sono esposti nel denunciare le spinte guerrafondaie. Nel ’91 parteciparono al concerto Yutel za Mir a Sarajevo.

https://www.youtube.com/watch?v=sx2Hl0xeliI

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Gay Pride Belgrade

October 3rd, 2012 Comments off

Prvu otvoreno gay pjesmu je napravio neki cigo jos ’74, u komunisticko doba. Posvecujem je svim onima sto se spremaju da nasilnicki prekinu gay pride u Beogradu 6-og oktobra.

“It’s no surprise that the punk movement to a certain degree, openly embraced gay discourse. At least in terms of fashion, style and cultural identity. More surprising is that traditional folk beat punk rock to it. In 1974 Muharem Serbezovski, one of the uncrowned kings of the Balkan Roma music, recorded a four-track 7” single featuring a traditional Indian track Ramu, Ramu or Ramo, Ramo with surprisingly direct lyrics. It’s probably the first officially released pro-gay song in Yugoslavia. The lyrics could hardly be interpreted as something other but a sad story of a lost love relationship between two men. Before you give Muharem a shot, let me just remind you that words like ‘drug’ and ‘drugar’, occurring in original lyrics of most of the songs featured here definitely refer to men, so the English translations, ‘friend’ and ‘mate’, don’t do them justice.” (from Bturn – music, culture and style of the new Balkans)
http://youtu.be/i8o9LnAgzdQ

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Sul serbo-croato, sulle traduzioni e su altre cose ancora

July 22nd, 2012 Comments off

Nel corso degli anni mi è capitato di fare il traduttore, collaborando occasionalmente con delle agenzie. Si trattava per lo più di documenti di vario genere, manuali o lettere commerciali. Tornava utile per tappare i buchi o per tenersi occupati quando si è senza lavoro, anche se i soldi guadagnati erano sempre pochi. Era più stimolante quando lo facevo volontariamente come ad esempio per la trasmissione Ostavka! di Radio Onda d’Urto condotta da Michelangelo Severgnini tra 1999 e 2001 o facendo da interpretere ad Aleksandar Zograf  quando venne a presentare una sua raccolta di fumetti a Milano sempre in quegli anni. Alcune esperienze erano anche deprimenti come quando feci da interprete in un tribunale durante il processo per direttissima a due rom accusati di tentato furto. Furono condannati ad alcuni mesi di carcere senza aver rubato nulla. Sotto banco uno dei due mi fece passare un biglietto con il numero di telefono di qualche parente in Germania e una scheda telefonica. Al primo tentativo non gli riuscì perché una guardia se ne accorse, ma al secondo a udienza finita quando tutti si alzarono finalmente me lo passò. Telefonai subito dopo e mi sentì un po’ riscattato per aver collaborato con un processo che trovavo imbarazzante. Ultimamente, considerate le difficoltà economiche mi sono messo di nuovo a mandare i curriculum alle agenzie di traduzione e qualcuna ha risposto. Una di queste, per una sorta di selezione chiedeva un articolo sulle lingue e sul mestiere del traduttore, per essere ammessi al team dei collaboratori. Ho scritto sull’annosa questione che riguarda una lingua che tutti parlano nelle quattro delle sei repubbliche ex jugoslave, ma nessuno riconosce, cioè il serbo-croato.

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Jugoslavia per i ripetenti

May 9th, 2012 Comments off

Un divertente libretto sulla cultura pop nella ex Jugslavia, dal piglio leggero ma in grado di dire molte più cose di quelle che all’apparenza si prefigge di fare. Come dice nell’introduzione la nota scrittrice croata Dubrava Ugresic, si tratta del museo personale dell’autore ma anche di un racconto mitologico alla Monty Python in cui narra la visione del mondo del jugoslavo medio. Un’accozzaglia ben assortita di usi, costumi, cucina, televisione, mentalità, giochi, musica, politica, cinema, di aneddoti parzialmente veri o quasi falsi, personaggi famosi e misconosciuti, eventi salienti per la costruzione dell’identità culturale di un paese che non esiste più, ma di cui esistono ancora i cittadini, nascosti tra le masse dei statarelli sorti dalla dissoluzione, oppure migrati chissà dove. Eppure anche coloro che hanno rinunciato alle proprie biografie, si sono dissociati da se stessi abbracciando revisionismi storici e vecchi culti ogni tanto soffrono ancora da sindrome dell’arto fantasma, sentendo il prurito quando meno se l’aspettano e con un po’ vergogna devono constatare che quell’arto non c’è più. Ne esce fuori una guida jugonostalgica sufficentemente disincantata e autoironica da poterci far sorgere contemporaneamente due domande: “quanto eravamo coglioni” prima e “quanto abbiamo perduto” dopo. Purtroppo è un testo quasi intraducibile, pienamente comprensibile solo a chi ha vissuto quell’esperienza ed è nato prima della metà degli anni Settanta, nonché per quelle eccezioni che per qualche incomprensibile motivo hanno deciso di studiare e approffondire minuziosamente un mondo sommerso. Ecco la traduzione della “genesi” che ovviamente non rende come nell’originale, ma tanto per dare l’idea dell’approccio.

Jugoslavia per i ripetenti” di Dejan Novacic

  • All’inizio vi fu la terra buia ed informe. E Tito disse: “che sia la luce”. E la luce fu.
  • Allora Tito divise la luce dal buio e chiamò i “nostri” la luce e i “loro” il buio.
  • E parlò di nuovo Tito: “che sia la Stella a Cinque Punte”. E la Stella fu. La mise Tito nell’alto dei cieli ad illuminare la terra con la luce celeste.
  • E poi Tito disse: “che brulichino i partigiani nei boschi in tutte le loro specie”. E i partigiani camminarono per i boschi celebrando il nome di Tito e vide lui che questo fu un bene.
  • Disse Tito ai partigiani: “si faccia per noi il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale su nostra sommiglianza, proprio così come siamo noi, che sarà la guida di tutto il paese e di tutti gli animali che vi camminano.
  • Creò così il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale, e guarda, fu un gran bene. Si rallegrarono assai tutti i partigiani mentre Tito benediva il giorno in cui creò il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale, e lo fece santo. Si fece sera e al mattino vi fu Il Giorno della Repubblica.
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Pasteta

April 1st, 2012 Comments off

Tipico spuntino dell’industria alimentare real socialista, una sorta di paté chiamato comunemente “pasteta” a base di derivati di carne suina. In uso già a partire dagli anni cinquanta. Certamente prodotti del genere si trovano anche oggi, ma non hanno più il ruolo e l’importanza che avevano durante la Guerra Fredda. Oggi, questi patè sono confezionati in modo più accattivante e hanno un sapore leggermente  diverso per venire incontro ai gusti più addomesticati. Una scatoletta di pasteta non mancava mai nel rancio militare. Quindi la divoravano nella stessa misura i bambini come merenda e i militari durante le lunghe marce di esercitazione.

Era circa 1987 quando mangiai una scatoletta di pasteta risalente al 1958. Era molto più vecchia di me quando la mangiai ma era uguale come se l’avessero confezionata qualche giorno prima. Per fortuna non ebbi alcun effetto collatterale. Miracolosi progressi della tecnologia jugoslava per la conservazione del cibo! Questa scatoletta, era arrivata da qualche scorta militare, tramite un qualche parente che lavorava nell’esercito, fino a casa mia.

Si consumava a collazione, cosa che farebbe inorridire chiunque in Italia, è tutt’oggi in uso in molti paesi dell’Europa dell’est. Si usava anche come spuntino, merenda o per una cena povera in abbinamento a qualcos’altro. Le confezioni avevano dei marchi a volte severi delle industrie statali dai nomi trucidi come “Carnex”. In alternativa, per venire incontro ai bambini, raffiguravano dei maialini sorridenti i cui scarti di macellazione venivano trittati insieme ad altri innominabili ingredienti per ottenere questa pasta dal colore incerto. Molte erano le dicerie, probabilmente vere e tutt’oggi attualissime, sulle persone che smisero di mangiare qualsiasi derivato di carne dopo aver lavorato o visitato degli stabilimenti del genere.

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