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Archive for the ‘Storie’ Category

Maresciallo Tito

May 4th, 2010 1 comment

Oggi su Facebook mi hanno mandato una foto di Tito per l’anniversario della sua morte, avvenuta il 4 maggio 1980. Ecco il commento che gli ho lasciato.

Caro Maresciallo eri un po’ stronzo ma noi jugoslavi ti perdoniamo, avevi stile e oltre al bastone ci davi anche la carota, non come dai tuoi colleghi Stalin e Causesku. Ci portavi le star hollywoodiane e ci permettevi di suonare rock’n’roll. E poi quella tua cosa dei “non allineati” non era proprio una stronzata a ripensarci oggi. Tu, Nehru e Nasser ci sapevate fare, ma gli altri erano po’ delle schiappe. Ti perdoniamo anche solo per aver fatto il culo quadruplo ai nazisti, ai fascisti e a quelle merde dei traditori ustascia e chetnici. Un saluto a pugno chiuso.

Balkan Rock al Barattolo

April 19th, 2010 Comments off

idoliMi è capitato poche volte di mettere la musica yu-rock dal vivo, durante qualche festa o concerto. Non essendo un dj, in quelle rare occasioni ho sempre fatto dei frullati piuttosto bizzarri in cui mischiavo, con poco criterio, il vecchio e il nuovo, l’elettronica e il rock. Mi incuriosisce comunque vedere le reazioni, dal momento che la maggioranza degli ascoltatori di solito si aspetta qualcosa di molto “balcanico”, alla Bregovic o Gogol Bordello, per intenderci. Penso che questi esempi non rispecchino bene quello che era il rock jugoslavo, cristallizzando l’idea di un variegato scenario musicale, ad un immagine  esclusivamente folkloristica dei rural-rockers di un paese immaginario. Non per affermare che non ci sono queste contaminazioni, a volte volutamente kitsch e grottesche come nel caso di Rambo Amadeus, in altri casi più prossime alla world music dei Leb i Sol, ma perché sono esistite molte altre sonorità e correnti, originali o meno, ma che si scostavano da qualsiasi eredità tradizionale.

Qualche sera, durante un’aperitivo, ho messo la musica al centro sociale Barattolo e con sorpresa l’unica richiesta di delucidazioni su un gruppo mi è arrivata da un ragazzo che ha sentito “Odbrana” degli Idoli, pezzo  new wave del 1982,  dalle tinte synth-pop e ritmo in levare. Nulla a che fare con il sound orientaleggiante e cacciarone di cui parlavo prima, se non per il concetto e l’estetica dell’album, che utilizza in chiave pop alcune immagini dell’arte religiosa bizzantina. Ecco il brano:

http://www.youtube.com/watch?v=w4ATm2uXWcA

Spy Rock

January 29th, 2010 Comments off
Qualche giorno fa, un compaesano appassionato del lato oscuro della pop-culture, mi ha segnalato un articolo di dubbie fonti e veridicità, ma contenente molti frammenti di verità. Si parla di come la scena rock jugoslava fu asservita agli interessi dei servizi segreti jugoslavi per rafforzare l’adesione popolare al regime e per tutelare la sovvranità culturale di fronte alla “colonizzazione” proveniente dai paesi “occidentali”. L’articolo è stato pubblicato sul sito di Radio Sarajevo, mentre la fonte è un blog dal vago sapore satireggiante, tendente ad un umorismo demenziale, i cui autori rimangono avvolti dal mistero. Dunque l’articolo è la traduzione dell’intervista (o presunta tale) con un ex agente di SDB (servizi di sicurezza nazionale), che racconta di come ha condotto per ben due decenni un’operazione che vede coinvolti, a volte loro malgrado, i musicisti pop e rock più famosi della ex federazione socialista. Alcuni passaggi ed alcuni nomi risulteranno oscuri ai lettori, dato che l’articolo è stato fatto per un pubblico appartenente alla “jugosfera”, ma le situazioni e le atmosfere sono veramente divertenti in questa visione semi-ucronica di un paese che ha prodotto un’infinità di miti popolari, senza che si voglia per questo sottovalutare l’effettiva pervasività dei malfamati “udbasi” (ovvero degli agenti del SDB). Il regime di Tito si presenta come il regime più “pop” dei paesi socialisti, e molti degli artisti citati, se fossero nati in altri stati del blocco sovietico, invece di essere ingaggiati per comporre canzoni contenenti dei messaggi subliminali, forse sarebbero finiti a spaccare le pietre o a passare il resto della loro vita in un simpatico istituto psichiatrico.

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Jugosfera

January 15th, 2010 Comments off

Poco fa leggevo un articolo sull’Osservatorio Balcani che parlava di un convegno economico di cooperazione regionale tra le varie repubbliche post-jugoslave, in un ottica di superamento dei dissidi, delle divisioni ideologiche e di creazione di un mercato comune, anche in relazione all’UE e agli organismi internazionali. L’articolo parte da un neologismo, coniato da un giornalista inglese di The Economist, ovvero “jugosfera”, interpretandolo in questo modo:

“Il punto di partenza della riflessione di Judah è naturalmente quello economico. Egli rileva come nell’area si stia sempre più ristrutturando un mercato comune, considerato come unico in primo luogo dagli attori economici che vi agiscono. Le pagine dell’articolo si spingono tuttavia anche oltre, rivalutando le comunanze di carattere sociale e culturale delle popolazioni della regione, sottolineando quanto siano ancora forti le corrispondenze della vita quotidiana che vanno dalla lingua, alla gastronomia, sino alla musica.”

Non mi sembra che il giornalista in questione abbia inventato chissà cosa, forse ha rotto il tabù di utilizzare il prefisso “jugo”, che rimanda alla federazione demonizzata per anni  dalle correnti politiche che hanno portato alla sua disgregazione, piuttosto mi sembra un’evoluzione naturale delle cose in uno spazio pieno di denominatori comuni di tipo storico, culturale, linguistico e infine anche politico se non vogliamo ignorare i 50 anni di jugo-socialismo, comunque lo si voglia giudicare. Certo a fare notizia ci arrivano per primi gli economisti, i grandi gruppi aziendali, i manager, che con il loro pragmatismo, i loro interessi e le loro strategie di mercato hanno colto la palla al balzo facendo proprio il termine “jugosfera”. Con o senza UE, bisogna dimostrarsi competitivi e non farsi completamente assoggettare dai grandi gruppi multinazionali senza avere la voce in capitolo, questo pare essere la logica del convegno.

Tuttavia la “jugosfera”, il termine che trovo interessante e che a mio avviso rispecchia una realtà, non si può riferire soltanto alla sfera economica come infatti si accenna nell’articolo dell’Osservatorio. Penso che una “jugosfera” viene quotidianamente tessuta da milioni di persone con il loro bisogno di spostarsi, di fare commerci, di fare cultura, di tutelare le proprie relazioni personali, di uscire dai ghetti e superare i muri e le paura. “Jugosfera” è piuttosto un’evoluzione naturale delle cose, per la buona pace di tutti coloro che si agitano e sbraitano al solo sentir nominare una parola che inizia con “jugo”.

Infine tra i commenti a questo articolo trovo anche quello di un fotografo amatoriale veneto che presenta così il suo reportage fotografico, attribuendogli casualmente lo stesso nome:

“Comunque la si rigiri tra le mani questa sfera è un poliedro composto da infinite facce o da un’unica faccia che sembra ripetersi sempre uguale a se stessa. La sua antropizzazione è un vortice. L’indagine è inevitabile, pare imposta. Non esistono anticorpi. C’era una sfera e probabilmente c’è ancora.”

Belgrado-Sarajevo

December 25th, 2009 Comments off

Voz Beograd - SarajevoE’ di un paio di settimane fa la notizia sul ripristino della linea ferroviaria Belgrado-Sarajevo. Per quanto abbia avuto un’eco modesta, è sicuramente un fatto storico. O forse no? Se non è un fatto storico è senza dubbio una svolta nella percezione da ambedue i lati, un altro muro che cade, un nodo che si scioglie nelle mappe mentali della gente, una svolta psico-geografica. Per 19 anni sono state due città che non esistevano l’una per l’altra, e una volta cessati i conflitti armati è rimasta la paura, la diffidenza, i rancori, il vuoto. Certo non si può celebrare la rinascita del mito di Unità e Fratellanza, dato che sulla prima corsa c’erano pochi passeggeri di cui la metà erano turisti stranieri, ma il fatto che un 19enne cresciuto nella “balcanizzazione” potrà prendere il treno e andare a farsi il Capo d’Anno a Sarajevo è molto significativo.

Nelle interviste che ho sentito si distinguono l’entusiasmo e la nostalgia da un lato, e la forzata indifferenza dall’altro e questo, è  dimostrattivo del fatto che la cosa viene vissuta con una certa carica emotiva. Per quanto riguarda gli scettici” o gli “indifferenti” quando si parla delle aperture verso “l’altro”, non si può non considerare che una posizione del genere sia una diffesa inconscia verso l’idea scottante che ci si avvia di nuovo verso uno spazio unificato, completamente diverso da com’era nel passato, ma che impone di nuovo il fatto che le persone, le merci, i capitali (quindi anche la cultura) devono fluire liberamente tra le diverse repubbliche. Un’idea naturalmente che nella concezione comune fa sprofondare nel nonsense più totale le motivazioni etno-politiche, ideologiche e religiose della guerra civile. Rimette in discussione molte cose.

Una volta era la linea ferroviaria più veloce del paese, in particolare fu potenziata in occasione delle Olimpiadi del 1984, ma purtroppo oggi ci mette più tempo che trent’anni fa, date le condizioni precarie dell’infrastruttura, rappezzata alla meno peggio. Comunque sia non si può che salutare positivamente questo evento. Il costo del biglietto è di 21 euro andata e ritorno, il treno parte alle 8.15 da Belgrado per arrivare (teoricamente) verso le 17 a Sarajevo.

Guarda il servizio di Al Jazeera

La Resistenza Nascosta

November 22nd, 2009 Comments off

Sarajevo, i ricordi di cristallo,
Sarajevo, di fango e di neve,
toglimi la brina dagli occhi e dalla fronte,
esci da me, esci da me.

Lascia gli occhi di vedere ancora questa volta,
lascia le orecchie di sentire ancora questa volta,
Sarajevo…

(EKV – Sarajevo – S vetrom uz lice 1986)

Così cantavano EKV (Ekatarina Velika) nel lontano 1986, sicuramente più lontano per Sarajevo di qualunque altro posto nei Balcani. Per chi ci è stato in quella città negli anni ottanta riconoscerà gli odori e le immagini che evocano queste poche semplici righe. L’odore del carbone nell’aria, il rumore dei tram, il colore verde torbido di Miljacka, il fiume che attraversa la città. La neve tinta di fango in contrasto con quella bianco candido del monte Jahorina che troneggia sopra Sarajevo. Da un lato le moschee e il quartiere antico Bascarsija, dall’altro la laboriosa città socialista, piccola metropoli jugoslava  –  paese e città allo stesso tempo. Nel 1984 si apre al mondo con le Olimpiadi, gli stessi anni della straordinaria produzione musicale che esporta la musica per il mercato interno al terzo posto nell’ordine di importanza per l’economia bosniaca. I primi due non è ho idea da cos’erano occupati, minerali, legname, armi? Non importa. E poi “new primitives“, un po’ dadaisti, un po’ menestrelli della Sarajevio dei “loser”, sicuramente profetici con lo show tv “Top lista Nadrealista”.  Dark e New Wave che echeggiano nella discoteca Jedinstvo (Unità). Pacchiani fino al midollo i rockettari del cosiddetto “pastir rock“, ironicamente definito dalla critica il “rock dei pastori”: tematiche e melos folcheggianti con la musica heavy metal. Senza contare le pop star Plavi Orkestar, Crvena Jabuka e stracitati Bijelo Dugme, che riempivano le riviste musicali dell’epoca. Finito tutto ciò arriva la generazione X, creativa, innovativa, ma con la sfiga di assistere alla disintegrazione della cultura che la guerra porta con sé. I  più arditi non mollano e sotto assedio continuano ad organizzare eventi, concerti, senza arrendersi. Nelle cantine, sotto le bombe continuano a trasmettere un messaggio di non adesione al delirio nazional-guerrafondaio. E’ di questa generazione che parla il documentario “La resistenza nascosta” di Francesca Rolandi e Andrea Paco Mariani uscito qualche mese fa in modo indipendente sotto il nome di Smashing Mrkve e con il supporto di One World SEE e Comune di Vogosce.  I protagonisti di questa scena non si concentrano tanto sulla guerra, quanto su quello che viene dopo, il periodo di decontaminazione culturale, di resistenza contro il turbo-folk, la corruzione politica, contro i tentativi di creare una Sarajevo Saudita. I nomi sono tanti: Dubioza Kolektiv, Letu Stuke, Skroz, Damir Imamovic Trio, Basheskia,  Laka e molti altri. Vale la pena di scoprirli e di vedere questo documentario, fatto con uno sguardo dal basso, con interviste fatte sul divano di casa, nel parco condividendo una latina di birra, camminando per strada in mezzo al traffico, nei baretti di ritrovo dei musicisti. Un incontro tra coetanei dalla visione del mondo affine che raccontano quella parte dell’Europa sotto una prospettiva che con un po’ di buona volontà si poteva intuire, ma che è rimasta nascosta per anni dalla cortina del protettorato ONU e dello stato d’eccezione permanente di un paese “cantonizzato”. Per averlo credo si possano contattare gli autori dalla loro pagina MySpace, disponibili anche per le presentazioni (…)

Balkan Rock su Limes-online

October 21st, 2009 Comments off

Segnalo l’articolo di Limes on-line, che parla dei legami tra la tifoseria serba e la destra clero-fascista, in cui viene citato un articolo di Balkan Rock sul fenomeno turbo-folk. Infatti in seguito ai fatti gravi accaduti a Belgrado negli ultimi tempi, come l’omicidio a freddo di un tifoso francese e l’annullamento del Gay Pride, gli ultras emergono non tanto come una sub-cultura identitaria e violenta, quanto come probabili agenti provocatori al servizio di forze politiche anti-europeiste e probabilmente filo-putiniane, in un momento in cui la società serba si sta liberando dalle pesanti eredità dell’era Milosevic e le nuove generazioni stanno gradualmente neutralizzando il nazionalismo.

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Bolji Zivot

September 14th, 2009 Comments off

Bolji ZivotVerso il 1987 esce per la Radio Televisione Serba un serial intitolato “Bolji Zivot” (La vita migliore). Seguiva le vicende di una famiglia tipo belgradese, con personaggi rappresentativi della picola borghesia jugoslava, con i loro problemi, le aspirazioni, i conflitti generazionali tra i giovani e i vecchi, il loro rapporto con le classi dirigenti o quelle subalterne. Non mancavano i riferimenti alla situazione sociale di allora, meno a quella più strettamente politica, considerando l’anno cruciale per l’ascesa dei nazionalisti. Lui, il capo famiglia, di umili origini contadine è un impiegato, dal carattere burbero ma bonario, nostalgico dei “valori di una volta”, lei insegnante in un liceo, intellettuale mancata e  i loro tre figli: il primogenito serioso e concentrato sulla carriera, la secondogenita un po’ più trendy  e il più giovane ribelle e strafottente. La serie andò in onda fino al 1991 con 87 episodi. Non mi vengono in mente corrispettivi, se non “Un posto al sole”, che tuttavia mi sembra terribilmente artificioso e ottuso nella sua rappresentazione di un’Italia di cartapesta, naturalmente parlo da uno “di parte” in questo momento, quindi “Bolji Zivot” malgrado fosse un prodotto televiso degli anni ’80 fatto per le masse, mi sembra abbia avuto anche qualche qualità, oltre a diversi attori che dopo sarebbero diventati famosi.

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Terremoto – Montenegro 1979

April 14th, 2009 Comments off
Domenica mattina alle 7,20 del 15 aprile 1979 un terremoto della potenza di 9° gradi della scala Mercalli ha colpito Montenegro e marginalmente Erzegovina, Croazia e Albania. Sono stati distrutti 250 insediamenti (tra paesi, città e villaggi), lasciandosi dietro 80.000 sfollati, 10.000 disoccupati, 101 morti e 1.700 feriti. Le vittime erano principalmente i più deboli: gli anziani, i bambini e gli inermi. L’epicentro del terremoto era nel mare tra Budva e Ulcinj a 17 km sotto la superficie, provocando onde anomale che hanno aggravato i danni lungo la costa. L’impatto era talmente violento da aprire le brecce nelle collone e alterare o far sparire i piccoli corsi d’acqua. L’intensità del terremoto vicino all’epicentro risultava essere 7,5° della scala Richter. Ha colpito in maniera più devastante le città costiere, in una fascia lunga 80 km e larga 15 km. Dopo la scossa principale sono state registrate 8.000 scosse minori, mentre più di un mese dopo, 24 maggio 1979 si è ripetuta un’altra scossa potente quanto la prima, provocando ulteriori danni al paese. I danni materiali erano enormi, ammontavano a circa 4,5 volte il PIL del Montenegro di quell’anno. In particolar modo furono danneggiati i monumenti storici, circa 1.642 tra chiese, castelli, palazzi antichi e muraglie, di cui 444 erano distrutti per sempre. Andarono perse icone, libri, pergamente, quadri, archivi e testimonianze etnografiche. L’economia fu in ginocchio, le principali attività produttive del paese danneggiate gravemente, le principali infrastrutture furono completamente impraticabili. Al momento del terremoto erano presenti sul territorio colpito un migliaio di turisti inglesi, francesi, russi, norvegesi, italiani e tedeschi. Incredibilmente non ci furono vittime tra loro. Fu immediatamente mobilitato l’esercito, la difesa terrotoriale e la protezione civile. La macchina organizzativa dei soccorsi funzionò discretamente e gli aiuti dalle altre repubbliche della federazione arrivarono a breve, sicchè nei periodi più “caldi” atterravano 40 aerei al giorno negli aeroporti di Tivat, Podgorica e Dubrovnik. Un ruolo importante giocarono anche la Croce Rossa, La Mezza Luna Rossa, le agenzie dell’ONU e associazioni umanitarie di vario genere. Se gli interventi dell’immediato dopo-terremoto funzionarono, la ricostruzione fu lunga e parziale mano mano che avanzava la crisi finanziaria nella Federazione: il crescente debito estero negli anni ’80, la conseguente inflazione, l’aumento della corruzione e le prime privatizzazioni si lasciarono dietro molti ruderi materiali e simbolici.

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Cantieri navali Bijela (Montenegro)

January 17th, 2009 Comments off
BijelaBijela – paesino sulla costa montenegrina, noto solo per un cantiere navale, più o meno in fallimento da decenni in un infinito braccio di ferro tra gli investitori esteri interessati ad acquistarlo – forse si è concluso qualcosa, o forse no – non ho approffondito. “Brodogradiliste Bijela” è uno strano ricetacolo di umanità varia in cui ti accorgi che nella “Montecarlo dell’Adriatico” esiste anche una classe operaia, occultata diligentemente, considerando che non giova all’immagine di un paese  in piena ascesa. I lavoratori godono di fama dei grandi bevitori, soprattutto i veterani dei mercantili transoceanici o i più giovani ancora pronti a mettere a dura prova il proprio fegato. Si lavora tanto e male, si fa anche del astensionismo e del sabotaggio, ma raramente con qualche rivendicazione sindacale e mai quella politica.
Qualche anno fa un giovane operaio allora ventenne, appassionato del hip-hop e della musica elettronica, decide di fare una canzone che si ispira al suo luogo di lavoro, raccontando in prima persona la vita di un “loser” sull’orlo del delirio (tremens?), facendosi chiamare Mazzutto. Perchè questo nome italianeggiante? “Da Mazut”: un combustibile industriale derivato di petrolio che viene utilizzato molto sulle navi mercantili; pulire le caldaie che vanno a quella sostanza è un vero e proprio supplizio e te la senti appiccicata addosso per il resto dei tuoi giorni. “Mazzutto” preso bene dal suo nuovo progetto decide anche di girare un video, dove usa come comparse i suoi colleghi di lavoro – facce degne di un film di Fellini o di primo Makavejev. Un video amatoriale e un “one man band” casereccio, ma personalmente mi hanno suscitato l’entusiasmo quelle immagini strampallate e le rime in dialetto delle Bocche di Cattaro che comunque non renderebbero una volta tradotte. Ma ecco il video.

Kooperacija Sjaj