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Archive for the ‘Pop-Kultura’ Category

Il mio papà è un metallaro

November 18th, 2010 Comments off

Metalac è la forma gergale in serbo-croato per dire “metallaro”, cioè colui che ascolta la musica heavy metal, ma prima dell’invenzione di questo genere musicale, cioè fino ai primi anni ottanta, metalac voleva dire metalmeccanico. Oggi questa confusione terminologica, come in diversi altri casi, suscita una certa ilarità, così ho trovato in giro per la rete la copertina di questo disco. Tra le tante manifestazioni lavoriste c’era anche quella dedicata ai “metallari”, in seguito alla quale uscì un disco che celebra questa categoria dei lavoratori e sulla copertina, tradotto letteralmente c’è scritto: “Il giorno dei metallari jugoslavi” – “L’inno dei metallari” “Il mio papà è un metallaro” – Zagabria 10 ottobre 1977. Considerando anche la grafica real-socialista, nell’insieme la cosa fa un certo effetto, soprattutto ai metallari, quelli che intendiamo oggi.

Born in Yu

November 5th, 2010 Comments off

Riporto qui la traduzione di due articoli su uno spettacolo teatrale del regista bosniaco Dino Mustafic intitolato “Rodjen u YU” (Nato in  YU), incentrato sull’identità culturale jugoslava, sulla sua sopravvivenza malgrado l’ostinato revisionismo di una certa parte politica e sulla necessità di scrutare nel passato senza nostalgia per capire quali sono le prospettive per il futuro dei paesi post-jugoslavi al di là dei muri eretti dalle destre nazionaliste.

Perché non possiamo ricordare Jugoslavia?

Jugoslavia si è disgregata come l’entità politica ma a livello culturale vive ancora. E’ una dimostrazione che l’uccisione dell’identità jugoslava era una perdita di tempo in realtà? Ecco cosa si è concluso durante un incontro tenutosi a Belgrado…

Il regista Zelimir Zilnik, l’attrice Mirjana Karanovic e gli scrittori Ante Tomic, Miljenko Jergovic i Muharem Bazdulj hanno discusso durante un incontro pubblico sul tema della “jugoslavità” al “Centro per la decontaminazione culturale” a Belgrado il 27 ottobre scorso.

L’occasione per questo incontro era lo spettacolo teatrale “Nati in YU” di Dino Mustafic, di recente tenutosi per la prima volta al Teatro drammaturgico jugoslavo. Il dettaglio dell’evento più citato dai media era quando fu intonato l’inno jugoslavo “Hej sloveni” al che uno degli spettatori si alzò in piedi seguito dal resto del pubblico per la sua durata. Una delle attrici dello spettacolo era Mirjana Karanovic ha dichiarato per Deutshe Welle: “Inizialmente ero molto scettica sull’idea di fare questo spettacolo, ma poi dalla foga per spiegare i miei motivi mi sono commossa. Ho chiamato il regista per dirgli che non volevo accettare la mia parte, ma ho capito che dovevo farlo per fare i conti una volta per tutte con il passato. Mi sono resa conto quanto non solo io, ma tutti quelli che hanno vissuto in quel paese, ne parlino così poco, mentre quel poco che si dice è parte di un ricordo sentimentale sui vecchi tempi. Dall’altra parte c’è una connotazione molto negativa sul significato della Jugoslavia come la prigione dei popoli. In questo contesto essere dei jugo-nostalgici è una brutta cosa, qualcosa di cui vergognarsi…Nel concetto della Jugoslavia si è infilato di tutto, dalla politica ai prodotti della cultura pop”.

Lo scrittore Ante Tomic ha detto che erano dei bei tempi, ma sono andati per sempre e ora bisogna pensare alle questioni più contemporane, più importanti. “Avevo molti dubbi su questo tema anche se almeno per me non erano di natura politica. Ho 40 anni e ho passato la metà della mia vita in quel paese, l’altra metà senza, cercando di viverlo in modo attuale. Mi sento come un emigrato, questo non è più il posto dove vivo e temo di diventare come tutti gli emigranti, noioso con le proprie storie sul passato, in questo caso sulla Jugoslavia. A parte questo, oggi viviamo delle nuove sfide, il mondo è diventato inquietante e penso che ci sono cose più pressanti. Quando parliamo di questo mondo inquietante in cui è assente la solidarietà, in cui i lavoratori si trattano come i cani, è comunque utile l’esperienza jugoslava perché il socialismo se non altro ci insegnava che la solidarietà e la comunanza sono dei valori. Infatti, quando penso all’indietro, credo che quei 50 anni dell’esistenza del paese erano dei tempi in qualche modo eroici. Oggi ci siamo “degradati”, perdiamo sia la solidarietà, sia i valori come quello della comunanza” ha detto Tomic.

Secondo Miljenko Jergovic, il fatto che si sospende il diritto di ricordare è terrificante. “Jugoslavia come entità politica è scomparsa. Ma quello che erano le basi della Jugoslavia, cioè lo spazio di un’identità culturale e le sue esperienze storiche continuano a vivere, continuano a funzionare. Nel senso culturale Jugoslavia non solo non si è mai disgregata, ma non può farlo. Che cosa è rimasto? E’ rimasto per ciascuno quello che anche prima gli apparteneva nel senso spirituale, morale e molto meno materiale” osserva Jergovic.

fonte: http://danas.net.hr/kultura/page/2010/10/29/0173006.html

[Segue l’intervista con Dino Mustafic]

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Rockovnik

October 26th, 2010 Comments off

Poslje Robne Kuce, koju sam vec pominjao na Balkan Rock-u, emisija u nekoliko epizoda koja je govorila o jugoslovenskom “novom talasu”, dosao je red na malo duzi skok u proslost, tragajuci za korijenima rock’n’rolla u bivsoj Yugi. Dakle radi se o jos jednoj emisiji RTS-a, ciji je reziser Dusan Vesic, sa intervjuima poznatih muzicara, producenata, novinara i likova koji su svijedoci tih davnih desavanja, pocevsi od sredine pedesetih godina proslog vijeka. Mozete skinuti epizode preko sajta jednog od najvrijednijih blogera iz Srbije – sa egzotericnim nazivom Abraxas365. Za sad sam pogledao samo par epizoda, i stvar je jako simpaticna i interesantna, te mozda i poucna za mladje generacije koje su rasle pod sijenkom bratoubilackog revizijonizma, ne zato sto emisija skrece paznju na te tematike, vec jednostavno zbog samog saznanja da je postojao neki zajednicki kulturni bunt tokom decenija koji i dan danas prezivljava kroz razne muzicke scene novokomponovanih nacija. Dok sam manje vise potkovan sto se tice rock-a od sedamdesetih na ovamo, falilo mi je dosta imena, mijesta i desavanja iz tog drevnijeg vremena kada je to jos bila “djavolja muzika”. Neki od protagonista govore o tome kako je rezim reagovao na nove mladalacke mode, u najbolju ruku sa sumjom u najgoru represivno, kao da se radilo o ekskluzivnom primitivizmu real-socijalistickih zemalja, zaboravljajuci sta je sve uradijo “makartizam” tih istih pedesetih godina u Sjedinjenim Drzavama. Doduse to je detalj relativne vaznosti, medju mnogim drugim anegdotama koje popracuju seriju. Daunloudujte to i uzivajte. Preporuceno mladjima, ne samo zbog edukacije, vec jer bi starije ovo moglo i ganuti 😉

Beat, funkadelic, ’60

October 14th, 2010 Comments off

Tetkine radostiUn duo di DJ sloveni mixano abilmente le rarità beat e funkadeliche dei “sixtees” jugoslavi. Il mix in tre parti è intitolato “Le gioie della zia”. Così si presentano su Sound Cloud:

The Good Foot is a funk and rare groove night in club K4 (Ljubljana) organised by Code.EP Funk division, usually as a midweek (Wednesday) happening of danceable delights. The night is based on carefully picked funkadelic beats from all over the world – from classic bboy breaks, soul mod bangers and yugo beats to afrobeat, modern (deep) funk… It’s a loose musical concept (no, we’re not funk purists!), but it’s also a fact that most of the music played was made in the seventies. Get on the Good Foot!

Tetkine Radosti vol.3 – part 1 Borka by Good Foot

Tetkine Radosti vol.3 – part 2 Bakto by Good Foot

Tetkine Radosti vol.3 – part 3 Woo-D by Good Foot

Mekike

October 5th, 2010 Comments off

Mekike – un specie di fritella dalla forma irregolare, fatta con una pasta simile a quella della pizza, fritta e cosparsa di zucchero. Una delle merende tipiche di un paese in via di sviluppo, prima dell’avvento del consumismo. Si vendeva nei chioschetti di plastica, spesso color arrancione, di solito adibiti a vendere pochi prodotti (e spesso uno solo). Quelli delle “mekike” erano monotematici – niente salsine, cremine o altro. Una merenda semplice e povera che ti faceva tirare fino a cena, meglio di un pacchetto di Smoki. Il declino simbolicamente inizia con l’apertura del primo McDonald’s a Belgrado nel 1988 abbagliando le masse giovanili con lo scintillio ipocrita che offriva la malfamata catena dei fast-food. Quello spianava ulterioramente la strada ai tweekers, sneakers, mars e altri prodotti che con le proprie brand colonizzavano le menti degli adolescenti jugoslavi. All’improvviso tutti ci sentivamo diversi ed esclusi da un spesso presunto “benessere occidentale”, inziando a collezionare i complessi d’inferiorità che tanto hanno contribuito alla rapida fine del comunque non rimpianto blocco socialista.

I famosi chioschetti arrancioni dall’inconfondibile design anni ’70 e dalle forme leggermente arrotondate, avevano anche una versione “salata”, cioè vendevano i panini con i wurstel – e sia chiaro, c’era solo quello. Come ogni wurstel, anche quelli di dubbissima qualità, galleggiavano nei pentoloni di alluminio e venivano serviti con la maionese o con la senape, di solito da signore di mezza età molto brutte e dall’aria annoiata.

Ancora Turbo-folk

May 29th, 2008 Comments off
turbofolkInevitabilmente torno a parlare di Turbo-Volk. Una delle parole chiave, dopo aver esaminato brevemente le statistiche del blog, con la quale la gente maggiormente approda a Balkan Rock è “turbo folk”. Le richieste arrivano per lo più dall’Italia, ovvero da goolge.it: mi chiedo cosa vorrà dire questo e come interpretarlo? Sono tutti appassionati di fenomeni sociologici? E’ pieno di appassionati di antropologia culturale o di storia contemporanea post-jugoslava? Può darsi…Ma mi viene cinicamente da pensare tutt’altro, considerando che viviamo in un paese diventato per ecellenza turbo-folk, la cui cultura televisiva di massa mi ricorda già da un pezzo la peggio spazzatura di Pink Tv ed altre emittenti che spopolavano negli anni novata in Serbia, credo che le motivazioni stiano molto più in basso. Non è che questi anonimi utenti siano alla ricerca delle cavallone scintillanti, dalle tette straripanti, letalmente kitsch, che rappresentano il modello femminile identico alle starlette, veline, presentatrici e altri esseri dello star-system italiota? Penso proprio che Ceca, Dara Bubamara, Jelena Karleusa, Kaya e le altre hanno conquistato l’immaginario erotico di molti maschi italiani alla ricerca dell’esotico, ma non troppo (va bene le slave ma le negre no…eh). E’ da qualche anno che appena svelo le mie origini qualcuno se ne salta fuori con Budva* – l’infernale luogo di villeggiatura turbo-folk, diventata modello di speculazione edilizia che batte la riviera adriatica degli anni ottanta. Uno cosa ci va a fare a Budva se non alla ricerca di “emozioni forti” a base di donne, casinò e squallore discotecaro? Non importa se la rete idrica va in malora ogni estate con rischio di epidemie, nel mare galeggiano gli stronzi da 3 kg uno e assorbenti usati, ma la vita loca continua e nulla la può fermare. Vista dall’alto, e togliendo il mare, Budva sembrerebbe un campo profughi palestinese abbellilto in modo kitsch: nessun criterio architettinoco, nessun piano regolatore, case, casette, villette, villone, castelli ammassati senza senso in un devastante impatto visivo su uno dei punti più belli della costa montenegrina. W Italia, W Montenegro, W Turbo-Folk.
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