Saban Bajramovic, di etnia rom è nato a Nis, nel sud-est della Serbia. Durante la sua carriera ha inciso venti album e cinquanta singoli, scrivendo in tutto circa settecento canzoni. I suoi ammiratori lo descrivono come un grande cantante dalle straordinarie capacità, che canta direttamente dal cuore e dall’anima. La sua interpretazione della canzone "Djelem, djelem" è diventato l’inno dei rom in tutto il mondo.
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Nel 1990 esce il penultimo album degli EKV (Ekatarina Velika), uno dei gruppi più conosciuti ed amati dell’ex YU. Il titolo dell’album si riferisce ai proiettili esplosivi, cosiddetti “dum-dum” in serbo-croato, vietati dalla Convenzione di Ginevra; in copertina c’è un personaggio inquietante a petto nudo che si punta una pistola di grosso calibro alla tempia (vedi la foto). L’album è particolarmente tetro per lo stile della band, forse un po’ dark, a differenza dei lavori precedenti più inclini al pop. L’album esce proprio all’inizio della guerra civile nell’agosto del 1991. La canzone particolarmente gettonata era “Idemo” (Andiamo), parla del risveglio da un sogno a un incubo. Parla del ponte che è stato distrutto, dei villaggi bruciati, del fiume insanguinato, tutto in un incastro di parole che evocava alla perfezione gli scenari che si stavano aprendo. Si direbbe quasi una profezia, e in qualche modo lo è. Poi ogni uno interpreti come vuole il significato di questa parola: l’intuito, una previsione in base alle analisi razionali, il sesto senso, la telepatia, la capacità di cogliere nell’immaginario il sentore di migliaia di persone, non importa. Questa canzone mi rimarrà impressa nella mente come la colonna sonora dei primi bollettini di guerra. Ai tempi non sembrava che in molti cogliessero questa profezia, forse perché nessuno voleva ancora accettare la dura realtà. Ecco la traduzione, forse un po’ grossolana.
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BALKAN ROCK STA CON I ROM
SMRT FASIZMU – SLOBODA NARODU!
Goli Otok (Isola Calva o nuda letteralmente) era un nome che incuteva terrore, un nome che veniva pronunciato a voce bassa – per spaventare o distogliere qualcuno dai pensieri “proibiti”. Un campo di prigionia da dove sono passati circa 30.000 appartenenti al Partito Comunista Jugoslavo dal 1949 al 1956 – ovvero dalla rottura con Stalin e le conseguenti minacce di invasione fino alla “distensione” sotto Kruscev. Un lagher simile ai gulag sovietici o ai campi di rieducazione cinesi. Il 10% dei detenuti è morto sull’isola, maggior parte uccisi per mano dei propri compagni. Nella sua struttura Goli Otok si distingueva dai gulag perchè funzionava sul principio di perpetuum mobile, ogni tipo di solidarietà tra i prigionieri era spezzata fin dall’ingresso, mentre la funzione del lagher era quella di formare spie, prima costringendoli a tradire i compagni e poi usandoli come informatori in cambio di una libertà vigilata. Il tutto ovviamente aveva come obiettivo quello di “far aprire gli occhi ai compagni che sbagliano” e aiutarli ad essere riportati sulla rette via. Non mi soffermerò sui dettagli abberranti, sul terrorismo psicologico, le torture, i capò “ustascia”, eroi della resistenza torturati…Sembra che non ci sia neanche uno stato al mondo che non abbia avuto un campo di concentramento per i prigionieri politici nel corso del novecento, compreso il Bel Paese con i suoi carceri speciali (dove, seppure in proporzioni minori, non sono mancate torture, utilizzo di aguzzini mafiosi ed altri sistemi totalitari), occultati dalla storia ufficiale, e riportati alla luce solo in alcuni ambiti ben precisi. Quella che segue è la traduzione di uno dei scritti introduttivi al romanzo “Le Hawaii di Tito” di Rade Panic, ad opera dell’autore stesso, un medico jugoslavo reo di aver dubitato del modello socialista che si stava instaurando. Potete leggere gli articoli e la biografia sul suo sito “Tito’s Hawaii”.
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La resistenza jugoslava, forse non tutti lo sanno, era particolarmente tenace, un’epopea straordinaria ma tragica che portò alla liberazione senza alcun intervento degli Alleati, se non molto tardivo. Purtroppo gli anni del nazionalismo e della guerra civile degli anni novanta, hanno portato ad un forte revisionismo, arrivando fino all’assoluzione morale dei criminali di guerra al servizio del Reich. Tuttavia non credo che bastino due decenni per togliere il ruolo che si merita NOB (Narodno Oslobodilacka Borba – Lotta Popolare di Liberazione) nelle repubbliche post-jugoslave, alla quale parteciparono tutti i popoli jugoslavi compresi i rom, che come si sa, ufficialmente non hanno mai preso parte in alcuna guerra. E’ un mito che sopravvive ancora nei film, nei libri, nei monumenti, nell’immaginario collettivo – quella lotta di liberazione, conquistata con un così enorme sacrificio, malgrado le distorsioni e le successive strumentalizzazioni dello stesso regime socialista, è destinato a vivere ancora. In occasione del 25 aprile vorrei portare alla luce alcuni eroi della resistenza jugoslava, o se non vi piace il concetto dell’eroe, i personaggi spesso provenienti dai ceti più bassi, che hanno dimostrato con il loro coraggio, la loro audacia e il loro credo, seppur spesso basato su pochi concetti semplici, che un altro mondo è possibile. Read more…
http://www.youtube.com/watch?v=_8A7X8RHjxg
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