No Berlusconi Day
October 21st, 2009
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Ed ecco un post di eccezione rispetto alle tematiche solitamente trattate, ma come vedremo qualche collegamento con la “dimensione” jugoslavista lo si trova sempre. Magari qualcuno ha già sentito parlare di una manifestazione, adirittura internazionale, per chiedere le dimissioni del personaggio che tiene in ostaggio il paese da un po’ di anni: malgrado lo si poteva fare in almeno due occasioni soltanto negli ultimi due-tre mesi (scandalo “puttanopoli” e Lodo Alfano bocciato), nessuno lo ha fatto – chi per complicità, chi per codardia – poco importa. Questa manifestazione indetta per il 5 di dicembre, non è promossa da alcuna organizzazione politica, ovvero da nessuna componente o rete di movimento, e come accennato prima men che meno dall’innesistente opposizione; nasce, infatti, da un’iniziativa di alcuni bloggers, cittadini, espatriati e liberi pensatori, che per quanto si possa essere scettici sulla riuscita della cosa, hanno coinvolto migliaia di adesioni e si stanno muovendo in modo molto determinato, come testimoniano gli aggiornamenti sul blog della manifestazione.
Per quanto riguarda il scetticismo, dieci anni fa sicuramente avrei avuto da dire sui limiti del “antiberlusconismo”, tuttavia ora come ora sono costretto in parte a ricredermi, quindi vedere come una necessità e priorità assoluta l’uscita dalla scena del personaggio succitato e dei suoi più stretti collaboratori. Ai tempi di Genova nel 2001 sicuramente si respirava un’aria diversa e l’obiettivo era creare delle comunità politiche dal basso, con uno spirito antisistemico o in altri casi radicalmente riformista, ora invece ci troviamo in una dimensione parallela che ricorda le atmosfere di Philip Dick e che fa ribaltare nella tomba Guy Debord, una situazione che impedisce ad ogni critica di assumere un significato appropriato e che distorce continuamente, per dirla con Foucault, l’ordine del discorso. Sono convinto che anche per quanto riguarda l’attivismo diffuso, le cosiddette reti di movimento è indispensabile la fine del “berlusconismo” per poter ripartire e non trovarsi costretti continuamente ad agire in un contesto di anomalia, di eccezionaità, sempre qualche passo indietro rispetto al resto dell’Europa. Certo rimane l’incognita del “dopo”, come se ci dovesse essere un “day after”, che secondo molti apre scenari apocalittici da guerra civile, considerando l’intreccio degli interessi che ha il psico-Nano, il tessuto produttivo che lo sostiene da un lato e poteri forti dall’altro (godendo ormai soltanto di quello dei mafiosi spero) e il potere mediatico di cui dispone. La paura di cambiare, l’immobilismo, l’incapacità di immaginare “altro” – questo è il problema di fondo. Quello di cui bisogna disporre quindi, è come minimo un po’ di pessimismo costruttivo e di indignazione attiva, e come massimo un po’ di speranza, di corraggio e di desiderio di affrontare questo “giorno dopo” sapendo che alcune strade si apriranno e molte cose verrebbero messe in discussione.
L’errore peggiore sarebbe aspettare che il Signore dei Ratti che si è autoproclamato il padrino di questa “democratura” se ne andasse da solo, per cause naturali o anche per una sconfitta elettorale che manterebbe comunque lo status quo. Sarebbe una sconfitta che lascierebbe i segni per anni. Il Signore dei Ratti va cacciato via a furor di popolo, in modo che gli altri ratti se ne stiano nelle fogne per un po’, prima di riacquistare il corraggio di uscire ancora. Tuttavia la sconfitta della “democratura” richiede ulteriori sforzi e presuppone anche l’uscita dalla scena dei leader principali dell’opposizione e un certo ricambio tra le file della sinistra radicale. Ma un passo per volta. Intanto mi auguro che questa manifestazione riesca e che coinvolga tutti quelli che hanno praticato la “democrazia diretta” in questi anni, sperando che mantenga la spontaneità e la genuinità senza farsi strumentalizzare o compromettere dai vecchi modi di fare politica. In Spagna l’hanno fatto. In Argentina l’hanno fatto. In America era lo stesso estabilishment che ha dovuto cambiare il volto prima che la situazione cominci a sfuggire di controllo. Infine, per tornare alle cose “jugoslaviste”, l’hanno fatto anche in Serbia il 5 ottobre 2000, a suon di ruspe e al grido di “Ostavka!”.
Appello in serbo-croato