Papà in viaggio d’affari
E’ un film che ho visto molto tempo fa, di cui ricordavo le tematiche e alcune scene topiche, ma che ormai avevo quasi dimenticato. Qualche giorno fa l’ho rivisto apprezzando di nuovo il vecchio stile di Kusturica. Il film è ambientato all’epoca della rottura tra Tito e Stalin, tra il 1949 e 1951, un periodo in cui la neonata federazione socialista si forgia nel terrore e nella paranoia, presupposti che sembrano accompagnare la nascista di ogni stato. Chiunque fosse sospettato di stalinismo finiva nei campi di prigionia o di rieducazione, e se ti andava bene venivi emarginato, declassato, privato dei diritti. Contesti storici in cui i piccoli rancori e invidie contribuiscono ad alimentare il meccanismo con la delazione che usa come pretesto l’eresia politica per i spesso banali scopi personali.
E’ così che un funzionario di partito (interpretato da Miki Manojlovic), l’inguaribile donnaiolo ma tutto sommato fedele alla linea “titoista”, finisce nei guai per una battuta fatta sovvrapensiero. L’amante che lo accompagna nel viaggio di ritorno da una delle numerose trasferte in giro per la Bosnia, sposata con il suo cognato, un collaboratore dell’OZNA (il servizio segreto jugoslavo*) – un po’ per ingenuità, un po’ per gelosia dato che non si decide di lasciare la moglie per lei – racconta la battuta al proprio marito. Il peccato mortale di Meho, il protagonista, mentre legge Politika, il principale quotidiano della ex-Jugoslavia, è quello di aver detto “forse hanno esagerato un po'” di fronte alla vignetta in cui è rappresentato Karl Marx seduto nel proprio studio con il ritratto di Stalin dietro. Apriti cielo: due anni di lavori forzati in una miniera sperduta, divieto di qualsiasi contatto con gli amici e familiari. E’ così che inizia il “viaggio d’affari” di Meho. Una formula con cui si faceva capire che qualcuno è finito nel tritacarne di OZNA dato che era pericoloso fare qualsiasi cenno alla purga, figuriamoci esprimere un qualche giudizio.” OZNA sve dozna” (OZNA viene a sapere tutto) era un altro detto popolare di quegli anni. La moglie di Meho, malgrado intuisca la verità sui suoi tradimenti, non abbandona il marito ne perde la speranza; toglie la parola al fratello delatore e fa di tutto per cercare di instaurare un contatto.
Questa la trama del film, ma la cosa interessante è la voce narrante, quella del figlio di Meho, un bimbo di sei anni che attraverso uno sguardo innocente racconta gli eventi spesso tragici che sconquassano la vita di una famiglia in un epoca dura, post-bellica ma non priva di un certo ottimismo. La convinzione di essere dalla parte giusta, la vittoria sul nazi-fascismo, il progresso che nel bene e nel marte porta dei profondi mutamenti, ma anche le disillusioni con la nascita delle nuove classi privilegiate. Tuttavia quello che distingue questi primi film di Kusturica, basati spesso sui racconti del famoso scrittore bosniaco Abdulah Sidran, sono i personaggi secondari, le situazioni di un realismo struggente che aprono finestre sulle vite degli ultimi, dei perdenti e degli emarginati in un mondo di granitiche certezze.
Molte sono le scene che mi sono rimaste impresse: la battuta tagliente che la moglie di Meho fa al fratello responsabile di aver mandato ai lavori forzati il proprio marito, dicendogli che gli “ustascia” – i membri del NDH, il partito collaborazionista croato – almeno le lasciavano mandare qualche vivere nel carcere quando il marito fu arrestato durante la guerra, mentre loro no. Poi la storia d’amore infantile tra i due bambini, il figlio di Meho e la bambina prodigio del vecchio medico russo, a sua volta rifugiato politico, scappato dallo stalinismo per ritrovarselo di nuovo con altri nomi. Poi la scena del tentativo goffo di fare l’amore nella barracca del campo di prigionia dopo aver finalmente ottenuto il permesso per una visita, interrotto dalla presenza del figlio. Infine lo sguardo sulla condizione femminile che si ripete più volte durante il film: i tradimenti e il persistente maschilismo, i diversi gradi di emancipazione, zone grigie tra il tradizionalismo e la modernizzazione.
* Oltre ai molti crimini commessi dall’OZNA va riconosciuta però anche la cattura dei numerosi collaborazionisti, filo-nazisti e responsabili delle stragi ai danni delle popolazioni civili durante la Seconda guerra mondiale. Tra questi il più famoso era il generale Draza Mihajlovic, il capo del movimento monarchico e fascistoide serbo “cetnici”.