Politika Ekspres sul punk nel 1977
[Probabilmente uno dei primi articoli sul fenomeno punk apparsi sulla stampa jugoslava non specializzata nel luglio del 1977. Tra ironico e sprezzante, con qualche vaga critica “da sinistra”.]
E’ il momento che i nostri lettori facciano conoscenza con questo nuovo genere musicale: Chi sono e cosa vogliono i punk? (1977)
I loro idoli, comprensibilmente, non possono essere le superstar come Geroge Harrison o Mick Jagger, i cui capelli lunghi non possono coprire il fatto che vanno in giro con le limousine e discutono con i propri commercialisti come pagare meno tasse.
Dopo i beatnik, i hippies e altri, la controcultura è rappresentata dai punk-rockers…La propria identità la esprimono con scherzi e abbigliamento bizzarri…Il loro inno è “Siamo una generazione vuota…”
New York, 16 luglio 1977: Per i seguaci del “punk rock”, shock è chic. I jeans sono volutamente stracciati, e gli squarci rappezzati con decine di spille. Un’altra variante sono i pantaloni a sacco con le catenelle tra la tasca e lo zip.
I capelli sono ben ingrassati, colorati di blu, arancione o verde, ma la cosa preferibile è mettere insieme due colori accesi che facciano pugni tra loro. Le orecchie sono perforate, e decorate con le spille da balia. A volte sono perforate anche le guance, così le spille sono esposte da una e dall’altra parte, collegate con delle catenelle. I loro slogan sono “Uccidimi”, “Ti odio”, “Sono un pigro nullafacente”, “Voglio distruggere”, “Senza futuro” – cose che escono dalla bocca dei loro nuovi idoli ad ogni concerto, mentre si bruciano con i mozziconi di sigarette, si graffiano con gli aghi e dicono parolacce a non finire – il loro inno è l’ultimo singolo di Richard Hell, “Siamo una generazione vuota”. Dopo i beatnik, hippies, yippies, rockers e mods, la controcultura degli anni settanta è rappresentata dai punk rockers.
Il significato della parola “punk” varia tra “dunster” e “delinquente”, ovvero sottintende un giovane arrabbiato, più spesso di bassa estrazione e disoccupato, una sorta di caricatura vivente che esprime la propria identità con beffe e abbigliamento strano, ostentando la propria povertà e il proprio furore, glorificando la propria esclusione dalla società a modo.
La loro musica, punk rock, esprime la loro indifferenza. Pensano di non avere niente a che fare con la grande confusione nella quale il mondo è impantanato, quindi non credono che bisognerebbe migliorarlo – perché tanto non ci riuscirebbero.
Quando il punk va dove gli pare *
Vengono dove la musica è per la musica, per divertimento, perché gli gira così. Quando punk rocker fa quello che gli pare a Londra, Tokyo, Chicago, Parigi, Stoccolma o altrove – lo fa anche per l’amore, e per l’amore si intende sesso.
I loro idoli, comprensibilmente, non possono essere le superstar come Geroge Harrison o Mick Jagger, i cui capelli lunghi non possono coprire il fatto che vanno in giro con le limousine e discutono con i propri commercialisti come pagare meno tasse.
I loro prescelti sono le band i cui nomi trasudano nichilismo e forza bruta: “Dannati”, “Strangolatori”, “Ragazzi morti”, “Dittatori”, “Pistole sessuali”…
Per la consolazione degli umanisti e dei conformisti, la forza del punk rock è principalmente visuale.
Preferiscono il teatro di guerriglia che la guerra di guerriglia.
Forse ci sarebbe una catastrofe se punk rock dovesse vivere un successo di massa.
Ma visto che i gruppi punk non disdegnano di firmare anche contratti interessanti, quali li vengono offerti ultimamente, è poco probabile che i ribelli rimarranno a fianco dei propri eroi quando inizieranno a guadagnare i milioni.
Scansionato e ripubblicato da Yugopapir (Z.B. Politika Ekspres, luglio 1977)
*gioco di parole “da proteram kera”, cioè portare a spasso il cane, dove con il “cane” si allude all’organo sessuale maschile, con il significato di fare quello che ti pare, quello che ti gira, perché lo vuoi in quel momento fregandotene del resto.