“Invisible Nation”
Credo che un po’ ovunque in giro per il mondo, o almeno nella vecchia Europa, negli ultimi anni ci sia il desiderio da parte di molti di recuperare la memoria di ciò che fu la genesi delle controculture nei propri territori. Sui beatniks, sugli hippies e sul movimento punk nelle grandi metropoli si è scritto molto, tuttavia c’è ancora molto da scoprire sulle situazioni cosiddette minori, particolari o di provenienza periferica. Situazioni in cui la presenza di una “scena” underground, di qualche fanzine o di un concerto scandalo ha significato molto, influenzando fortemente l’immaginario delle prossime generazioni, stimolandole ad uscire dal conformismo della cultura di massa.Sul fatto che gli anni ottanta nella ex Jugoslavia erano floridi dal punto di vista dei movimenti giovanili e modi “altri” di interpretare il famoso slogan del regime “Unità e Fratellanza” avevo già accennato in precedenza in più occasioni e il documentario di cui voglio parlare è una testimonianza di ciò.”La nazione invisibile” è un racconto collettivo dei protagonisti della “scena” indipendente di Subotica (Vojvodina) che riporta alla luce le band dimenticate, i personaggi che la animavano, cercando il filo che unisce gli outsiders di fine anni settanta guardati con diffidenza da tutti, spesso perseguitati dai vari commissari del Partito, con i gruppi e progetti non solo musicali di oggi. Il documentario attraversa tre passaggi: quello del tardo real-socialismo alla fine degli anni settanta, diviso tra timide aperture e rigurgiti autoritari, segnato ovviamente dalla forza primordiale del punk. Un periodo pieno di episodi al limite del grottesco con aneddoti di concerti interrotti a furor di popolo e di interrogatori da parte degli organi di sicurezza a questi strani “agenti provocatori”. Nella seconda metà degli anni ottanta “gli alternativi” cominciano ad essere accettati e iniziano ad esserci gruppi musicalmente più afferrati con diverse contaminazioni tra vari generi. Dopo questo slancio seguono i bui anni novanta in cui l’unica via di fuga per molti, a parte l’espatrio, era la musica, piena di creatività insofferente e desiderio di disertare il regime turbo-folk. Infine ci sono immagini recenti, in particolare colpisce la scena dei due ragazzini a dir tanto sedicenni ripresi su una ferrovia dall’aria decadente, che sparano le rime in free style con la stessa rabbia di quasi tren’anni prima, ma forse con maggiore consapevolezza.
E’ un bel documentario grezzo, low-fi e con riprese amatoriali recuperate chissà dove, in grado di rendere bene l’idea di chi si sbatte nei contesti ostili a creare spazi di espressione e di creatività. Rappresenta sicuramente una novità e un punto di vista diverso dai soliti documentari sul punk inglese o americano di cui si è detto quasi tutto. Qualcosa che assomiglia un po’ a quello che fa il buon Philopat qui da noi per rendere giustizia alla generazione “X” che si lasciava dietro poche testimonianze ma molti mutamenti, certamente fatto con ancora meno mezzi a disposizione. Sono immagini che mi lasciano una sensazione di ucronia come spesso mi accade quando mi capita di vedere film o documentari ambientati nell’ultima fase del blocco socialista. Forse per un pubblico internazionale alcuni particolari possono risultare oscuri e molte cose sono date per scontate quando si parla di eventi politici e di contesti sociali. Non ho citato nessun gruppo, ma quelli andateveli a scoprire da soli. “La nazione invisibile” la potete scaricare qui con sottotitoli in inglese, nella stessa pagina troverete tutte le informazioni su chi, cosa e dove. Per altre info o per contattare gli autori del documentario contattatemi pure.