Poco fa leggevo un articolo sull’Osservatorio Balcani che parlava di un convegno economico di cooperazione regionale tra le varie repubbliche post-jugoslave, in un ottica di superamento dei dissidi, delle divisioni ideologiche e di creazione di un mercato comune, anche in relazione all’UE e agli organismi internazionali. L’articolo parte da un neologismo, coniato da un giornalista inglese di The Economist, ovvero “jugosfera”, interpretandolo in questo modo:
“Il punto di partenza della riflessione di Judah è naturalmente quello economico. Egli rileva come nell’area si stia sempre più ristrutturando un mercato comune, considerato come unico in primo luogo dagli attori economici che vi agiscono. Le pagine dell’articolo si spingono tuttavia anche oltre, rivalutando le comunanze di carattere sociale e culturale delle popolazioni della regione, sottolineando quanto siano ancora forti le corrispondenze della vita quotidiana che vanno dalla lingua, alla gastronomia, sino alla musica.”
Non mi sembra che il giornalista in questione abbia inventato chissà cosa, forse ha rotto il tabù di utilizzare il prefisso “jugo”, che rimanda alla federazione demonizzata per anni dalle correnti politiche che hanno portato alla sua disgregazione, piuttosto mi sembra un’evoluzione naturale delle cose in uno spazio pieno di denominatori comuni di tipo storico, culturale, linguistico e infine anche politico se non vogliamo ignorare i 50 anni di jugo-socialismo, comunque lo si voglia giudicare. Certo a fare notizia ci arrivano per primi gli economisti, i grandi gruppi aziendali, i manager, che con il loro pragmatismo, i loro interessi e le loro strategie di mercato hanno colto la palla al balzo facendo proprio il termine “jugosfera”. Con o senza UE, bisogna dimostrarsi competitivi e non farsi completamente assoggettare dai grandi gruppi multinazionali senza avere la voce in capitolo, questo pare essere la logica del convegno.
Tuttavia la “jugosfera”, il termine che trovo interessante e che a mio avviso rispecchia una realtà, non si può riferire soltanto alla sfera economica come infatti si accenna nell’articolo dell’Osservatorio. Penso che una “jugosfera” viene quotidianamente tessuta da milioni di persone con il loro bisogno di spostarsi, di fare commerci, di fare cultura, di tutelare le proprie relazioni personali, di uscire dai ghetti e superare i muri e le paura. “Jugosfera” è piuttosto un’evoluzione naturale delle cose, per la buona pace di tutti coloro che si agitano e sbraitano al solo sentir nominare una parola che inizia con “jugo”.
Infine tra i commenti a questo articolo trovo anche quello di un fotografo amatoriale veneto che presenta così il suo reportage fotografico, attribuendogli casualmente lo stesso nome:
“Comunque la si rigiri tra le mani questa sfera è un poliedro composto da infinite facce o da un’unica faccia che sembra ripetersi sempre uguale a se stessa. La sua antropizzazione è un vortice. L’indagine è inevitabile, pare imposta. Non esistono anticorpi. C’era una sfera e probabilmente c’è ancora.”