New Public Spaces

February 10th, 2010 Comments off

Spy Rock

January 29th, 2010 Comments off
Qualche giorno fa, un compaesano appassionato del lato oscuro della pop-culture, mi ha segnalato un articolo di dubbie fonti e veridicità, ma contenente molti frammenti di verità. Si parla di come la scena rock jugoslava fu asservita agli interessi dei servizi segreti jugoslavi per rafforzare l’adesione popolare al regime e per tutelare la sovvranità culturale di fronte alla “colonizzazione” proveniente dai paesi “occidentali”. L’articolo è stato pubblicato sul sito di Radio Sarajevo, mentre la fonte è un blog dal vago sapore satireggiante, tendente ad un umorismo demenziale, i cui autori rimangono avvolti dal mistero. Dunque l’articolo è la traduzione dell’intervista (o presunta tale) con un ex agente di SDB (servizi di sicurezza nazionale), che racconta di come ha condotto per ben due decenni un’operazione che vede coinvolti, a volte loro malgrado, i musicisti pop e rock più famosi della ex federazione socialista. Alcuni passaggi ed alcuni nomi risulteranno oscuri ai lettori, dato che l’articolo è stato fatto per un pubblico appartenente alla “jugosfera”, ma le situazioni e le atmosfere sono veramente divertenti in questa visione semi-ucronica di un paese che ha prodotto un’infinità di miti popolari, senza che si voglia per questo sottovalutare l’effettiva pervasività dei malfamati “udbasi” (ovvero degli agenti del SDB). Il regime di Tito si presenta come il regime più “pop” dei paesi socialisti, e molti degli artisti citati, se fossero nati in altri stati del blocco sovietico, invece di essere ingaggiati per comporre canzoni contenenti dei messaggi subliminali, forse sarebbero finiti a spaccare le pietre o a passare il resto della loro vita in un simpatico istituto psichiatrico.

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Jugosfera

January 15th, 2010 Comments off

Poco fa leggevo un articolo sull’Osservatorio Balcani che parlava di un convegno economico di cooperazione regionale tra le varie repubbliche post-jugoslave, in un ottica di superamento dei dissidi, delle divisioni ideologiche e di creazione di un mercato comune, anche in relazione all’UE e agli organismi internazionali. L’articolo parte da un neologismo, coniato da un giornalista inglese di The Economist, ovvero “jugosfera”, interpretandolo in questo modo:

“Il punto di partenza della riflessione di Judah è naturalmente quello economico. Egli rileva come nell’area si stia sempre più ristrutturando un mercato comune, considerato come unico in primo luogo dagli attori economici che vi agiscono. Le pagine dell’articolo si spingono tuttavia anche oltre, rivalutando le comunanze di carattere sociale e culturale delle popolazioni della regione, sottolineando quanto siano ancora forti le corrispondenze della vita quotidiana che vanno dalla lingua, alla gastronomia, sino alla musica.”

Non mi sembra che il giornalista in questione abbia inventato chissà cosa, forse ha rotto il tabù di utilizzare il prefisso “jugo”, che rimanda alla federazione demonizzata per anni  dalle correnti politiche che hanno portato alla sua disgregazione, piuttosto mi sembra un’evoluzione naturale delle cose in uno spazio pieno di denominatori comuni di tipo storico, culturale, linguistico e infine anche politico se non vogliamo ignorare i 50 anni di jugo-socialismo, comunque lo si voglia giudicare. Certo a fare notizia ci arrivano per primi gli economisti, i grandi gruppi aziendali, i manager, che con il loro pragmatismo, i loro interessi e le loro strategie di mercato hanno colto la palla al balzo facendo proprio il termine “jugosfera”. Con o senza UE, bisogna dimostrarsi competitivi e non farsi completamente assoggettare dai grandi gruppi multinazionali senza avere la voce in capitolo, questo pare essere la logica del convegno.

Tuttavia la “jugosfera”, il termine che trovo interessante e che a mio avviso rispecchia una realtà, non si può riferire soltanto alla sfera economica come infatti si accenna nell’articolo dell’Osservatorio. Penso che una “jugosfera” viene quotidianamente tessuta da milioni di persone con il loro bisogno di spostarsi, di fare commerci, di fare cultura, di tutelare le proprie relazioni personali, di uscire dai ghetti e superare i muri e le paura. “Jugosfera” è piuttosto un’evoluzione naturale delle cose, per la buona pace di tutti coloro che si agitano e sbraitano al solo sentir nominare una parola che inizia con “jugo”.

Infine tra i commenti a questo articolo trovo anche quello di un fotografo amatoriale veneto che presenta così il suo reportage fotografico, attribuendogli casualmente lo stesso nome:

“Comunque la si rigiri tra le mani questa sfera è un poliedro composto da infinite facce o da un’unica faccia che sembra ripetersi sempre uguale a se stessa. La sua antropizzazione è un vortice. L’indagine è inevitabile, pare imposta. Non esistono anticorpi. C’era una sfera e probabilmente c’è ancora.”

Azra

December 28th, 2009 Comments off

Azra Oggi pomeriggio ero su last.fm e me ne sono accorto, ascoltando un pezzo degli Azra, che manca la descrizione di questa mitica band ex jugoslava. Chi ha usato il social network musicale ha presente le funzioni interattive che offre, e tra questi la possibilità di scrivere commenti, recensioni o biografie dei gruppi meno conosciuti senza una scheda completa. Ecco cosa ho scrito a proposito degli Azra, di cui da qualche parte su questo blog avrò già parlato qualche volta.

“Uno dei gruppi più amati nella ex Jugoslavia, nati a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80. Facevano un curioso mix di rock e new wave con le assonanze folk della tradizione balcanica. Il loro leader Branimir J. Stulic era un compositore prolisso, abile nel dire tanto con poco, nel colpire l’immaginario e le aspettative dei giovani di quegli anni e di quel paese in particolare. Non mancavano testi di natura satirica e qualche problema con la censura. Spiegare la poesia degli Azra in poche righe è difficile e per questo posso rimandarvi ad una ricerca in rete, dove si può trovare qualcosa di più esteso anche in lingua inglese. Stulic è un personaggio eccentrico, ma sicuramente rimasto sempre coerente con la sua idea della musica, della politica e di quello che fu o che poteva essere l’ex Jugoslavia. All’inizio della guerra civile abbandono il paese che non riconosceva più come proprio e si trasferì in Olanda. Non tornò mai più malgrado le numerose richieste di reunion, sia da parte dei fan che da parte delle case discografiche. Ora fa l’allenatore di calcio in una squadra minore di qualche paesino olandese vicino ad Utrecht. Scrive e si interessa di letteratura classica, suona ogni tanto e molto, ma molto raramente concede le interviste. A distanza di decenni sono convinto che se dovesse fare un concerto con la vecchia line-up si troverebbe centomila persone che conoscono le canzoni a memoria e le cantano a squarciagola, il fatto è che non lo farà mai – giustamente, si sgretolerebbe la sua figura ieratica da profeta rock’n’roll di un paese che non esiste più (…)”

Belgrado-Sarajevo

December 25th, 2009 Comments off

Voz Beograd - SarajevoE’ di un paio di settimane fa la notizia sul ripristino della linea ferroviaria Belgrado-Sarajevo. Per quanto abbia avuto un’eco modesta, è sicuramente un fatto storico. O forse no? Se non è un fatto storico è senza dubbio una svolta nella percezione da ambedue i lati, un altro muro che cade, un nodo che si scioglie nelle mappe mentali della gente, una svolta psico-geografica. Per 19 anni sono state due città che non esistevano l’una per l’altra, e una volta cessati i conflitti armati è rimasta la paura, la diffidenza, i rancori, il vuoto. Certo non si può celebrare la rinascita del mito di Unità e Fratellanza, dato che sulla prima corsa c’erano pochi passeggeri di cui la metà erano turisti stranieri, ma il fatto che un 19enne cresciuto nella “balcanizzazione” potrà prendere il treno e andare a farsi il Capo d’Anno a Sarajevo è molto significativo.

Nelle interviste che ho sentito si distinguono l’entusiasmo e la nostalgia da un lato, e la forzata indifferenza dall’altro e questo, è  dimostrattivo del fatto che la cosa viene vissuta con una certa carica emotiva. Per quanto riguarda gli scettici” o gli “indifferenti” quando si parla delle aperture verso “l’altro”, non si può non considerare che una posizione del genere sia una diffesa inconscia verso l’idea scottante che ci si avvia di nuovo verso uno spazio unificato, completamente diverso da com’era nel passato, ma che impone di nuovo il fatto che le persone, le merci, i capitali (quindi anche la cultura) devono fluire liberamente tra le diverse repubbliche. Un’idea naturalmente che nella concezione comune fa sprofondare nel nonsense più totale le motivazioni etno-politiche, ideologiche e religiose della guerra civile. Rimette in discussione molte cose.

Una volta era la linea ferroviaria più veloce del paese, in particolare fu potenziata in occasione delle Olimpiadi del 1984, ma purtroppo oggi ci mette più tempo che trent’anni fa, date le condizioni precarie dell’infrastruttura, rappezzata alla meno peggio. Comunque sia non si può che salutare positivamente questo evento. Il costo del biglietto è di 21 euro andata e ritorno, il treno parte alle 8.15 da Belgrado per arrivare (teoricamente) verso le 17 a Sarajevo.

Guarda il servizio di Al Jazeera

La Resistenza Nascosta

November 22nd, 2009 Comments off

Sarajevo, i ricordi di cristallo,
Sarajevo, di fango e di neve,
toglimi la brina dagli occhi e dalla fronte,
esci da me, esci da me.

Lascia gli occhi di vedere ancora questa volta,
lascia le orecchie di sentire ancora questa volta,
Sarajevo…

(EKV – Sarajevo – S vetrom uz lice 1986)

Così cantavano EKV (Ekatarina Velika) nel lontano 1986, sicuramente più lontano per Sarajevo di qualunque altro posto nei Balcani. Per chi ci è stato in quella città negli anni ottanta riconoscerà gli odori e le immagini che evocano queste poche semplici righe. L’odore del carbone nell’aria, il rumore dei tram, il colore verde torbido di Miljacka, il fiume che attraversa la città. La neve tinta di fango in contrasto con quella bianco candido del monte Jahorina che troneggia sopra Sarajevo. Da un lato le moschee e il quartiere antico Bascarsija, dall’altro la laboriosa città socialista, piccola metropoli jugoslava  –  paese e città allo stesso tempo. Nel 1984 si apre al mondo con le Olimpiadi, gli stessi anni della straordinaria produzione musicale che esporta la musica per il mercato interno al terzo posto nell’ordine di importanza per l’economia bosniaca. I primi due non è ho idea da cos’erano occupati, minerali, legname, armi? Non importa. E poi “new primitives“, un po’ dadaisti, un po’ menestrelli della Sarajevio dei “loser”, sicuramente profetici con lo show tv “Top lista Nadrealista”.  Dark e New Wave che echeggiano nella discoteca Jedinstvo (Unità). Pacchiani fino al midollo i rockettari del cosiddetto “pastir rock“, ironicamente definito dalla critica il “rock dei pastori”: tematiche e melos folcheggianti con la musica heavy metal. Senza contare le pop star Plavi Orkestar, Crvena Jabuka e stracitati Bijelo Dugme, che riempivano le riviste musicali dell’epoca. Finito tutto ciò arriva la generazione X, creativa, innovativa, ma con la sfiga di assistere alla disintegrazione della cultura che la guerra porta con sé. I  più arditi non mollano e sotto assedio continuano ad organizzare eventi, concerti, senza arrendersi. Nelle cantine, sotto le bombe continuano a trasmettere un messaggio di non adesione al delirio nazional-guerrafondaio. E’ di questa generazione che parla il documentario “La resistenza nascosta” di Francesca Rolandi e Andrea Paco Mariani uscito qualche mese fa in modo indipendente sotto il nome di Smashing Mrkve e con il supporto di One World SEE e Comune di Vogosce.  I protagonisti di questa scena non si concentrano tanto sulla guerra, quanto su quello che viene dopo, il periodo di decontaminazione culturale, di resistenza contro il turbo-folk, la corruzione politica, contro i tentativi di creare una Sarajevo Saudita. I nomi sono tanti: Dubioza Kolektiv, Letu Stuke, Skroz, Damir Imamovic Trio, Basheskia,  Laka e molti altri. Vale la pena di scoprirli e di vedere questo documentario, fatto con uno sguardo dal basso, con interviste fatte sul divano di casa, nel parco condividendo una latina di birra, camminando per strada in mezzo al traffico, nei baretti di ritrovo dei musicisti. Un incontro tra coetanei dalla visione del mondo affine che raccontano quella parte dell’Europa sotto una prospettiva che con un po’ di buona volontà si poteva intuire, ma che è rimasta nascosta per anni dalla cortina del protettorato ONU e dello stato d’eccezione permanente di un paese “cantonizzato”. Per averlo credo si possano contattare gli autori dalla loro pagina MySpace, disponibili anche per le presentazioni (…)

No Berlusconi Day

October 21st, 2009 Comments off
No Berlusconi Day - 5 dicembre 2009Ed ecco un post di eccezione rispetto alle tematiche solitamente trattate, ma come vedremo qualche collegamento con la “dimensione” jugoslavista lo si trova sempre. Magari qualcuno ha già sentito parlare di una manifestazione, adirittura internazionale, per chiedere le dimissioni del personaggio che tiene in ostaggio il paese da un po’ di anni: malgrado lo si poteva fare in almeno due occasioni soltanto negli ultimi due-tre mesi (scandalo “puttanopoli” e Lodo Alfano bocciato), nessuno lo ha fatto – chi per complicità, chi per codardia – poco importa. Questa manifestazione indetta per il 5 di dicembre, non è promossa da alcuna organizzazione politica, ovvero da nessuna componente o rete di movimento, e come accennato prima men che meno dall’innesistente opposizione; nasce, infatti, da un’iniziativa di alcuni bloggers, cittadini, espatriati e liberi pensatori, che per quanto si possa essere scettici sulla riuscita della cosa, hanno coinvolto migliaia di adesioni e si stanno muovendo in modo molto determinato, come testimoniano gli aggiornamenti sul blog della manifestazione.
Per quanto riguarda il scetticismo, dieci anni fa sicuramente avrei avuto da dire sui limiti del “antiberlusconismo”, tuttavia ora come ora sono costretto in parte a ricredermi, quindi vedere come una necessità e priorità assoluta l’uscita dalla scena del personaggio succitato e dei suoi più stretti collaboratori. Ai tempi di Genova nel 2001 sicuramente si respirava un’aria diversa e l’obiettivo era creare delle comunità politiche dal basso, con uno spirito antisistemico o in altri casi radicalmente riformista, ora invece ci troviamo in una dimensione parallela che ricorda le atmosfere di Philip Dick e che fa ribaltare nella tomba Guy Debord, una situazione che impedisce ad ogni critica di assumere un significato appropriato e che distorce continuamente, per dirla con Foucault, l’ordine del discorso. Sono convinto che anche per quanto riguarda l’attivismo diffuso, le cosiddette reti di movimento è indispensabile la fine del “berlusconismo” per poter ripartire e non trovarsi costretti continuamente ad agire in un contesto di anomalia, di eccezionaità, sempre qualche passo indietro rispetto al resto dell’Europa. Certo rimane l’incognita del “dopo”, come se ci dovesse essere un “day after”, che secondo molti apre scenari apocalittici da guerra civile, considerando l’intreccio degli interessi che ha il psico-Nano, il tessuto produttivo che lo sostiene da un lato e poteri forti dall’altro (godendo ormai soltanto di quello dei mafiosi spero) e il potere mediatico di cui dispone. La paura di cambiare, l’immobilismo, l’incapacità di immaginare “altro” – questo è il problema di fondo. Quello di cui bisogna disporre quindi, è come minimo un po’ di pessimismo costruttivo e di indignazione attiva, e come massimo un po’ di speranza, di corraggio e di desiderio di affrontare questo “giorno dopo” sapendo che alcune strade si apriranno e molte cose verrebbero messe in discussione.
L’errore peggiore sarebbe aspettare che il Signore dei Ratti che si è autoproclamato il padrino di questa “democratura” se ne andasse da solo,5 oktobar 2000 - Ostavka! per cause naturali o anche per una sconfitta elettorale che manterebbe comunque lo status quo. Sarebbe una sconfitta che lascierebbe i segni per anni. Il Signore dei Ratti va cacciato via a furor di popolo, in modo che gli altri ratti se ne stiano nelle fogne per un po’, prima di riacquistare il corraggio di uscire ancora. Tuttavia la sconfitta della “democratura” richiede ulteriori sforzi e presuppone anche l’uscita dalla scena dei leader principali dell’opposizione e un certo ricambio tra le file della sinistra radicale. Ma un passo per volta. Intanto mi auguro che questa manifestazione riesca e che coinvolga tutti quelli che hanno praticato la “democrazia diretta” in questi anni, sperando che mantenga la spontaneità e la genuinità senza farsi strumentalizzare o compromettere dai vecchi modi di fare politica. In Spagna l’hanno fatto. In Argentina l’hanno fatto. In America era lo stesso estabilishment che ha dovuto cambiare il volto prima che la situazione cominci a sfuggire di controllo. Infine, per tornare alle cose “jugoslaviste”, l’hanno fatto anche in Serbia il 5 ottobre 2000, a suon di ruspe e al grido di “Ostavka!”.
Appello in serbo-croato

Balkan Rock su Limes-online

October 21st, 2009 Comments off

Segnalo l’articolo di Limes on-line, che parla dei legami tra la tifoseria serba e la destra clero-fascista, in cui viene citato un articolo di Balkan Rock sul fenomeno turbo-folk. Infatti in seguito ai fatti gravi accaduti a Belgrado negli ultimi tempi, come l’omicidio a freddo di un tifoso francese e l’annullamento del Gay Pride, gli ultras emergono non tanto come una sub-cultura identitaria e violenta, quanto come probabili agenti provocatori al servizio di forze politiche anti-europeiste e probabilmente filo-putiniane, in un momento in cui la società serba si sta liberando dalle pesanti eredità dell’era Milosevic e le nuove generazioni stanno gradualmente neutralizzando il nazionalismo.

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Gustav

September 22nd, 2009 Comments off
Gustavus (in Italia Gustavo), cartone animato ungherese di Dargay-Nepp-Jankovics prodotto da Panonia Film a partire dalla mettà degli anni sessanta. Ancora nei primi anni ’80 andava in onda al mattino nell’ambito dei programmi dedicati a bambini e ragazzi sulla RTJ. Il personaggio principale è Gustavo, la personificazione dell’uomo medio con le sue frustrazioni, sfighe e psicosi. Cade vittima di ogni tentazione della società moderna: dal consumismo, alla misoginia, dal narcisismo al populismo. Ma rimane sempre perdente e a volte, anche se raramente, prende amaramente coscienza della propria miopia. Un cartone intelligente, con propositi satirici e non privo di situazioni che sconfinano nel surreale. Goffo e ridicolo con la sua bombetta, che forse simboleggia il piccolo borghese dell’Occidente capitalistico, evitando così di essere accusato di fare troppa autocritica. Ottima la colonna sonora jazz e ancora molto attuale nei suoi contenuti. Ecco una puntata memorabile.

Bolji Zivot

September 14th, 2009 Comments off

Bolji ZivotVerso il 1987 esce per la Radio Televisione Serba un serial intitolato “Bolji Zivot” (La vita migliore). Seguiva le vicende di una famiglia tipo belgradese, con personaggi rappresentativi della picola borghesia jugoslava, con i loro problemi, le aspirazioni, i conflitti generazionali tra i giovani e i vecchi, il loro rapporto con le classi dirigenti o quelle subalterne. Non mancavano i riferimenti alla situazione sociale di allora, meno a quella più strettamente politica, considerando l’anno cruciale per l’ascesa dei nazionalisti. Lui, il capo famiglia, di umili origini contadine è un impiegato, dal carattere burbero ma bonario, nostalgico dei “valori di una volta”, lei insegnante in un liceo, intellettuale mancata e  i loro tre figli: il primogenito serioso e concentrato sulla carriera, la secondogenita un po’ più trendy  e il più giovane ribelle e strafottente. La serie andò in onda fino al 1991 con 87 episodi. Non mi vengono in mente corrispettivi, se non “Un posto al sole”, che tuttavia mi sembra terribilmente artificioso e ottuso nella sua rappresentazione di un’Italia di cartapesta, naturalmente parlo da uno “di parte” in questo momento, quindi “Bolji Zivot” malgrado fosse un prodotto televiso degli anni ’80 fatto per le masse, mi sembra abbia avuto anche qualche qualità, oltre a diversi attori che dopo sarebbero diventati famosi.

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