“Jebo sad hiljadu dinara” – Fanculo i mille dinari
Estate 1993. Bosnia nord-occidentale. Fronte croato-bosniaco durante la guerra civile nella ex-Jugoslavia. Un comando croato deve penetrare tra le linee nemiche per spiare l’andamento dei lavori in corso fatti per rendere agibile un vecchio sentiero ai carri armati. Hanno le divise dell’esercito bosniaco ed elementi degni dell’armata Branca Leone, finiti nei reparti speciali chi per fraintendimento, chi per sbaglio e chi per sfiga.
Dall’altra parte i bosniaci per tenere in segreto i loro interventi logistici mandano un comando travesito con le divise croate sulla linea di confine tra i due eserciti per accertarsi che non ci siano infiltrazioni. La preparazione e la qualità delle unità impegnate in questa operazione è identica a quella dei nemici – ovvero quella dei civili armati con un profilo psicologico inadatto alla vita militare.
L’incontro tra le due “avanguardie” avviene nei pressi del vecchio castello turco di Muzaferbeg, luogo noto per le gesta ero(t)iche, entrato nel mito tra la popolazione giovanile dei paesi circostanti. Poco più sotto il colle sul quale è appollaiato il castello c’è un vecchio cimitero serbo. Il primo trasuda di ricordi buffi e spensierati di un tempo che all’improvviso sembra appartenere ad un altra dimensione, mentre il secondo quelli più cupi di una terra di confine tra i grandi imperi del passato, sempre pronti a servirsi del ancora più antico dividi et impera per soggiogare le popolazioni locali. L’incontro accidentale diventa un gioco di specchi. Tutti sono spinti a credere che “gli altri” non possono essere che “dei nostri”. Nessuno riesce a riconoscere l’altro per una serie di inverosimili coincidenze, l’allegoria delle amputazioni che ha subito la realtà di una generazione condannata agli anni di limbo in cui gli fu messo in mano un fucile e un’identità ricostruita, reinventata, trasformata in un mostro.
Il romanzo è intessuto di continui flashback sulle vite di ciascun personaggio seguendo un groviglio di eventi ed aneddoti che portano tutti in quel luogo dall’aria funesta e torrida. Emergono la mentalità e gli archetipi della profonda provincia bosniaca nel tardo novecento: l’avvenente edicolante Zuza, “divoratrice” di ragazzini, un nonno sensitivo, l’ex minatore in grado di prevedere i terremoti, il contrabbandiere chiamato il “Cinese” che vende le code di pecore spacciandole per le dita umane – lugubri trofei di guerra…
Con le parole dell’autore Boris Dezulovic: “Fanculo i mille dinari” – romanzo la cui trama si svolge dall’alba al crepuscolo di una giornata estiva nel mezzo del fronte croato-bosniaco durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina – è un altro inutile tentativo di comprendere l’assurdità della guerra, e il ruolo che ha l’uniforme nella vita e nella morte dell’uomo, del soldato e dello sciocco”.
“Jebo sad hiljadu dinara” – Boris Dezulovic – V.B.Z – 2008