Dopo la mostra “Jugoslavia, dall’inizio alla fine“, tenutasi al MIJ (Muzej Istorije Jugoslavije) all’inizio dell’anno, si terrà un’altra manifestazione a Belgrado per ricordare il paese scomparso. Se la prima era più di carattere storico, pur addentrandosi negli aspetti socio-culturali, economici o politici meno conosciuti, la seconda è decisamente dedicata alla cultura pop e all’antropologia urbana, con una serie di rituali, usanze, stili, gusti e percezioni, di cui molti sopravvivono ancora al di là dell’adesione o meno a quella cosa vaga e un po’ confusa chiamata “jugonostalgija”. La mostra è intitolata “Živeo život – la mostra sulla bella vita“, dal detto “živi život svoj” (vive la vita sua) per indicare qualcuno che vive in santa pace nel modesto decoro, non arreca disturbo ad alcuno e si ritiene soddisfatto di ciò che ha”, riferendosi allo jugoslavo medio, o almeno a quello che oggi percepiamo come tale, esponente delle nuove classi medie, uscite negli anni ’70 dal pauperismo del dopo guerra, avvicinandosi agli standard del benessere europeo. Questo oggi è oggetto di una forte mitologia, condivisa non solo tra i pensionati ex iscritti al partito unico.
Questo “jugoslavo medio” è diventato molte cose successivamente, si è scisso in diversi rami evolutivi, ma soprattutto involutivi. Alcuni si sono vampirizzati abbracciando il fucile in una mano e la croce nell’altra abbandonando le modeste aspirazioni per lasciarsi agli appetiti insaziabili sputando rancorosi nel piatto dal quale mangiavano fino al giorno prima. Altri sono tornati al punto di partenza – nelle baracche, a fare dei lavori che non si sognavano nemmeno, con la dignità lesa, e il rancore ancora una volta, indirizzato quasi sempre al destinatario sbagliato. Poi ci sono mille sfumature di questa metamorfosi, ma è un’altra storia. Quello di cui si occupa la mostra in questione sono aspetti positivi, innocui o se non altro curiosi e talvolta strambi nella ex-YU, quelli di cui ho scritto molte volte su questo blog. Una parte della mostra che mi pare particolarmente interessante è quella dedicata ai sensi, all’odore in particolare. Tutti noi memorizziamo gli odori dell’infanzia. Quelli buoni della casa della nonna o quelli cattivi del dentista o dei bagni della scuola. Quali erano gli odori che caratterizzavano le case di quell’epoca? Uno, che io ricordo molto bene, viene citato nella presentazione della mostra:
“nell’ambito della mostra, una delle aree tematiche sarà dedicata agli odori, ai sapori, al tatto e ai suoni. Uno degli odori più comuni era quello del latte bruciato. Quando il latte ha iniziato a trasbordare dai pentolini sulle nuove cucine elettriche, il nemico numero uno delle casalinghe jugoslave diventò quella puzza di latte bruciato. Si diffondeva, incontenibile, in tutto l’appartamento, mettendo in discussione la titanica lotta per rendere la casa sempre profumata, con l’ausilio del “radion blu” (*un famoso detersivo). “Attento al latte!”, era diventato il grido mattutino più comune nelle case delle famiglie jugoslave medie. Il latte andava sorvegliato attentamente mentre stava per bollire, ma anche in quel caso talvolta si bruciava uscendo dal pentolino.”
Ai tempi non era ancora diffusissimo il latte pastorizzato in tetrapack, figuriamoci quello scremato, parzialmente scremato e così via. In pratica era il latte crudo come quello che oggi si vende nei distributori automatici delle aziende agricole. Si vendeva nei sacchetti di plastica da un litro e andava portato ad ebollizione prima di essere consumato. Naturalmente raggiunti i 100°C il latte iniziava schiumare, aumentando di volume e uscendo dalla pentola, appiccicandosi sulla piastra elettrica. Costava decisamente meno di quello pronto all’uso in tetrapack .