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Spy Rock

January 29th, 2010
Qualche giorno fa, un compaesano appassionato del lato oscuro della pop-culture, mi ha segnalato un articolo di dubbie fonti e veridicità, ma contenente molti frammenti di verità. Si parla di come la scena rock jugoslava fu asservita agli interessi dei servizi segreti jugoslavi per rafforzare l’adesione popolare al regime e per tutelare la sovvranità culturale di fronte alla “colonizzazione” proveniente dai paesi “occidentali”. L’articolo è stato pubblicato sul sito di Radio Sarajevo, mentre la fonte è un blog dal vago sapore satireggiante, tendente ad un umorismo demenziale, i cui autori rimangono avvolti dal mistero. Dunque l’articolo è la traduzione dell’intervista (o presunta tale) con un ex agente di SDB (servizi di sicurezza nazionale), che racconta di come ha condotto per ben due decenni un’operazione che vede coinvolti, a volte loro malgrado, i musicisti pop e rock più famosi della ex federazione socialista. Alcuni passaggi ed alcuni nomi risulteranno oscuri ai lettori, dato che l’articolo è stato fatto per un pubblico appartenente alla “jugosfera”, ma le situazioni e le atmosfere sono veramente divertenti in questa visione semi-ucronica di un paese che ha prodotto un’infinità di miti popolari, senza che si voglia per questo sottovalutare l’effettiva pervasività dei malfamati “udbasi” (ovvero degli agenti del SDB). Il regime di Tito si presenta come il regime più “pop” dei paesi socialisti, e molti degli artisti citati, se fossero nati in altri stati del blocco sovietico, invece di essere ingaggiati per comporre canzoni contenenti dei messaggi subliminali, forse sarebbero finiti a spaccare le pietre o a passare il resto della loro vita in un simpatico istituto psichiatrico.


La storia alternativa del rock jugoslavo

Negli ultimi anni ci sono sempre più ex agenti e collaboratori dei servizi segreti, pronti a fare rivelazioni sulle operazioni alle quali avevano partecipato durante il regime di Tito e dopo di Milosevic. Una delle storie più originali la racconta Zivan Velisavljevic, un collaboratore dei servizi segreti, andato in prepensionamento all’inizio del 1990 dietro la richiesta del presidente della SFRJ.

Valisavljevic oggi vive nella sua casa familiare a Lojanice, vicino a Sabac. La sua casa è lontana dall’idea di quello che nell’immaginario comune sarebbe la dimora di un agente segreto in pensione. Non ci sono i muri di cinta, le porte di metallo che si aprono con un telecomando o i dobermann addestrati. Ma anche se la casa di Velisavljevic è una tra tante nel suo quartiere, ha qualcosa che la differenzia.

Nel solaio in perfetto ordine, Velisavljevic custodisce una collezione di alcune migliaia di dischi  pop  e rock prodotti nella ex Jugoslavia. Alla domanda se era un discofilo, risponde che questi dischi gli servivano per lavorare non per dilettarsi. E non solo, non può cedere nessuno di questi dischi perché gli sono stati affidati direttamente dai servizi.


Operazione “Miljacka”

L’impegno di Velisavljevic nei servizi inizia nel 1968. Le manifestazioni studentesche hanno messo seriamente  in difficoltà Tito. Anche se è riuscito a domarle, continuavano ad aprirsi nuovi focolai. In quel periodo il Maresciallo aveva appena superato la crisi dei Brioni, mentre subito dopo è scoppiata la rivolta del ’68 e l’invasione sovietica in Cecoslovacchia, dunque almeno uno dei fronti andava pacificato. Con questo obiettivo Tito durante una riunione segreta ha discusso con i suoi più stretti collaboratori quale dei fronti va risolto per primo. Veljko Vlahovic proponeva di munirsi dell’atomica come la garanzia della sovranità, Edvard Kardelj parlava dell’avvicinamento alla NATO, mentre Stane Dolnac se ne uscito fuori con la proposta più bizzarra. Dolnac spiegava come la CIA utilizzava la musica basata sull’edonismo e sull’utilizzo delle droghe, riuscendo così a inibire la partecipazione alle proteste e trasformare molti giovani politicizzati in innocui pagliacci senza una chiara idea rivoluzionaria.

Dolnac sosteneva che la stessa cosa si può applicare alla nostra gioventù. Veljko Vlahovic sosteneva che i nostri giovani erano più sani e maturi degli americani, ma Tito ormai sembrava sempre più propenso verso quell’idea. Alla fine fu data la via libera a Dolnac, mentre il nome in codice dell’operazione fu “Miljacka“, come il  fiume che attraversa Sarajevo, dato che la guerra di liberazione fu vinta proprio in Bosnia, ogni nuova battaglia doveva partire proprio da lì. Miljacka dall’altro canto sembrava il toponimo più urbano in quella repubblica.

Dolnac insieme ai suoi collaboratori più stretti, Srdjan Andrejevic e Obrad Djordjevic, ha scelto il giovane Zivan Velisavljevic per dirigere l’operazione “Miljacka”. Così Velisavljevic ha condotto questa operazione per ben 22 anni.


Bregovic arruolato

“Il primo ad essere arruolato era Goran Bregovic. Con lui non c’erano problemi, gli piaceva l’idea della “jugoslavità”, ma anche sesso e droghe, quindi era facile mettersi d’accordo”, testimonia Velisavljevic. “Con Bregovic utilizzavo persino un sistema che i Servizi usavano con i criminali – li lasciava fare le rapine all’estero, con la protezione e le vie di fuga verso Jugoslavia in cambio dei lavoretti che svolgevano per noi. Così anch’io ho fatto sì che Bregovic possa rubare le canzoni degli altri, di pubblicarle come proprie, e al contempo di far veicolare dei messaggi in esse contenuti, facendo così i nostri interessi.”


L’osso duro Colic e summit alla Skenderija


Zdravko Colic
già non era così semplice da reclutare. “Zdravko Colic era un cantante di particolare talento e lui non era così facile da farsi arruolare. Lui non ce l’aveva con noi, ma non voleva avere debiti con nessuno”. Malgrado ciò, quando fu arrestato per lo scambio di valuta estera, Velisavljevic vide in questo un’occasione: “Sono andato a trovarlo in carcere a Ohrid e ci siamo messi d’accordo in un quarto d’ora”.

Nel reparto di Velisavljevic presso l’Ufficio per la Sicurezza Nazionale ci sono state delle reazioni isteriche quando hanno saputo che “Ciola” è stato reclutato. Dopo è seguito il panico quando hanno saputo che aveva bisogno delle nuove hit. Dato che una parte dei servizi nutriva dei dubbi su Kornelije Kovac, si era deciso che tutta la scena pop jugoslava doveva stare dietro a Zdravko Colic.

“Una notte avevamo organizzato una riunione segreta presso Skenderija. Sei aeroplani delle forze aeree avevano portato tutti i compositori chiave da noi. C’erano Arsen Dedic, Djordje Novakovic, Kornelije Kovac, Bojan Adamic, Zika i Radovan dei Zana, Momcilo Bajagic, mali Zlaja Arslanagic di Crvena Jabuka, Iztok Turk, Jasenko Houra, Jura Stublic, Vladimir Divljan, Zoran Lesendric e molti altri”.

Sono stati fatti accomodare a Skenderija. Erano completamente impreparati a ciò che li aspettava. Quando ho preso la parola, mi sentivo come Tito,  e gli ho detto che ogni uno di loro doveva fare un canzone per l’album di ritorno di Colic.”, Velisavljevic neanche oggi riesce a nascondere l’emozione.


“Cola” difficile da corteggiare

Il gruppo di compositori è stato fatto ritornare alle proprie città per iniziare la preparazione delle canzoni. Tuttavia nei Servizi c’era un certo nervosismo, poiché un numero così elevato di persone era difficile da controllare, così alla fine si decise di assegnare a Bregovic l’intero album per non far trapelare nulla all’opinione pubblica.


Terapia del suono nel caso di guerra


I servizi segreti avevano il compito di preparare degli album concettuali che avrebbero avuto la funzione di essere diffusi in caso di guerra, in particolare nel caso dell’olocausto nucleare. “Questi erano i cosiddetti album per il giorno del giudizio, così li  chiamavamo noi dei servizi, contenevano per così dire le ultime canzoni del mondo, quelle con le quali il nostro popolo avrebbe sopravvissuto l’inverno nucleare”.

Su questi brani ci lavorava la creme della scena jugoslava, in collaborazione con un team di psicologi. “Tra queste c’erano delle canzoni d’amore, testate sugli animali. Il risultato del test dimostrava che queste stimolavano la produzione di determinati ormoni. Avrebbero avuto la funzione di stimolare la riproduzione nei rifugi atomici e così salvare l’umanità.

“Diffondere dei brani così costruiti nelle circostanzi normali sarebbe un crimine. Queste registrazioni si trovano tutt’oggi negli archivi del Dipartimento di Sicurezza Nazionale”. Velisavljevic parla malvolentieri di queste canzoni. Tuttavia, dopo un po’ di insistenze, ha rivelato che alcune di queste ha scritto Kiki Lesendric, e sono state interpretate da Zana Nimani, Anja Rupel e Marina Perazic. Alla domanda se i brani assomigliavano ai loro lavori precedenti, Velisavljevc ha sorriso laconicamente dicendo: “Denis i Denis era roba da asilo..


I Doppiogiochisti

Velisavljevic sostiene che nella sua carriera ha incontrato solo una volta un doppiogiochista. Questo era il caso di Iztok Turk, leader e autore del gruppo Videosex. “Iztok lavorava per noi. Nel periodo dell’album Lacrimae Christi l’aveva contattato BND – i servizi segreti tedeschi. Lui voleva interrompere i contatti con loro, ma noi abbiamo insistito purché continui”. Mentre si avvicinava la disgregazione della Jugoslavia, Velisavljevic sospettava che la fedeltà di Iztok si era spostata a favore dei tedeschi. “Non sono sicuro che Turk abbia tradito la Jugoslavia, penso che sia stato fedele fino alla fine, anche se ha cercato di disimpegnarsi. Alla fine cercò la carriera all’estero registrando alcuni pezzi in inglese per i Videosex, senza riscuotere alcun successo.”

La registrazione delle canzoni in inglese, secondo Velisavljevic, era una provoaczione dei servizi segreti tedeschi, nel tentativo di colonizzare la scena musicale jugoslava. “Loro cercavano di marginalizzare le nostre band, inducendole a cantare in inglese e creare uno scollamento dal pubblico locale, mentre non avevano alcuna vera chance di sfondare a livello internazionale. Per fortuna questo gli era riuscito solo con i gruppi alternativi. Abbiamo tenuto Bregovic, Riblja Corba e Azra in una botte di ferro. ”

“Il primo album di Divlje Jagode in inglese era una classica cospirazione di MI6. Loro erano al servizio del malfamato agente Antony Moncton. Lui iniziò la propria carriera come agente operativo per le azioni di sovversione culturale in SFRJ, attivo soprattutto a Belgrado.” Per fortuna noi riuscimmo a portare dalla nostra parte un membro del gruppo, Alen Islamovic, che riusciva ad essere un elemento di disturbo dei loro piani. Per aversi comportato bene, l’abbiamo premiato facendolo diventare il cantante dei Bijelo Dugme”.

Jasenko Houra

Velisavljevic tutt’oggi si considera un jugoslavo. Lui crede che alla fine gli stessi servizi delle diverse repubbliche avevano lavorato alla dissoluzione dello stato, a volte anche attraverso il rock’n’roll. “Jasenko Houra era uno vicino ai servizi croati. Alcune volte avevo scritto ai colleghi croati di rendercelo disponibili nel dipartimento federale perché ci era utile come musicista di talento, loro glissavano sempre inventando delle motivazioni formali. Ci metto la mano sul fuoco che la canzoni “. “A mia madre” (l’ultima rosa croata) era la farina del loro sacco, serviva a stimolare la propaganda secessionista”.


Nessuno è innocente

“Nessuno è innocente, continua Velisavljevic, “quando avevamo notato che Dio e la Chiesa comparivano sempre più spesso nelle canzoni dei Piloti, avevamo messo in stato di fermo Zoran Lesendric per capire di che si tratta. Durante la notte ci ha chiamati il capo del dipartimento centrale di Belgrado, dicendo che era sotto la loro protezione. Abbiamo dovuto rilasciarlo. Allora avevo capito che ormai il servizio di ogni repubblica aveva una propria band”.

Ibarska magistrala

“Non ci sarebbe stata la guerra se non c’era la propaganda come quella dei “Prljavo Kazaliste”, sottolinea Velisavljevic. Lui sostiene che è ingenuo pensare che la lotta tra i servizi segreti era più innocua sul piano musicale che in altri campi più noti. “Lo scenario che ci fu su Ibarska Magistrala era applicato per la prima volta su Krcun, e la seconda su Drazen Ricla”. Velisavljevic è convinto che nell’incidente stradale in cui è morto un membro dei Crvena Jabuka era un regolamento dei conti. “Zlaja ha abbandonato la band poco dopo, lui si che era un angelo, uno dei miei collaboratori preferiti, un vero jugoslavo”, dice Velisavljevic. “Sarebbe interessante se Zera si decidesse di parlare, lui sa tutta la storia”.

La scena attuale

Velisavljevic non segue più la scena musicale da quando è in pensione. Ma quello che vedi in televisione o su internet non lo convince. “Molta gente con talento è finita nel turbo-folk, mentre nella scena rock c’è troppa gente che canta in inglese, questo non va bene. La scena era migliore quando DB (dipartimento sicurezza nazionale) controllava tutto, davamo anche un contributo creativo nei periodi morti”. Velisavljevic è orgoglioso dal fatto che DB aveva ingaggiato ben tre professori dell’Accademia musicale e uno di letteratura, come consulenti durante la composizione di Lipe Cvatu dei Bijelo Dugme. “Oggi non ci sono più queste ambizioni, purtroppo. Temo che DB non controlla più neanche le band che ha contribuito ha fondare”.

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